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Non è l'aspetto giallo che interessa tanto all'autrice, quanto invece lo strano rapporto intercorrente fra Holmes e Watson, ipotizzando una passione segreta del medico per l'investigatore, che, pur non contraccambiando, sembra tuttavia interessato al compagno di avventure ben oltre l'aspetto tecnico della loro relazione. Siamo in epoca vittoriana, di costumi castigatissimi, di leggi che vietano l'omosessualita, stranamente però solo fra maschi, e non fra le femmine, tanto che la trama è intessuta e infiorata da relazioni saffiche, nemmeno tanto velate. Peraltro in Holmes, freddo e impenetrabile, ci sono atteggiamenti tali da indurre in Watson la convinzione che non sia insensibile alle attenzioni dell'amico, senza che però ciò si traduca in un trasporto affettivo certo e inequivocabile. Il libro della Piercy gioca molto su questo aspetto e il lavoro dell'innamorato finisce con il diventare un giallo nel giallo, mantenendo vivo l'interesse del lettore che agogna di sapere se tutte le arti e le azioni messe in campo dal medico inglese andranno poi a buon fine. Mi preme evidenziare la riuscitissima ambientazione, l'atmosfera di un'epoca puritana, ma comunque solo di facciata, visto che lo scandalo è l'ombra di benpensanti, austeri e rigidi nell'apparenza, deboli e infelici nella sostanza. Si ricrea così assai bene il periodo vittoriano anche con il modo di parlare dei personaggi, con quel dire e non dire, con una certa tendenza a un accentuato formalismo, a tratti perfino stucchevole, e qui devo dire che se larga parte del merito va all'abilità narrativa della Piercy la traduzione di Chiara Rolandelli è puntuale e corretta perché non ne spegne e non ne smussa lo spirito. Il libro è per questi motivi indubbiamente interessante e, aspetto non di certo trascurabile, risulta di gradevole lettura.
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