Nel 2011, alla sua uscita in Francia nell'edizione originale, Il mio miglior nemico ha venduto diecimila copie nel giro di una settimana e i diritti di traduzione sono stati immediatamente acquisiti da Stati Uniti, Regno Unito, Spagna, Corea del Sud, Brasile e Argentina. Un successo che si deve soprattutto alla firma di David B., pluripremiato e indiscusso maestro del graphic novel, le cui illustrazioni sono note, e amate, per l'originale stilizzazione delle figure umane in movimento, l'uso sapiente del troppo pieno in ogni singola tavola, la preziosità delle geometrie di pagina, i colti riferimenti e rimandi inseriti nei particolari di contorno, tutti pregi che si riscontrano agevolmente anche in quest'opera. Nel caso specifico, però, all'eccellenza del prodotto grafico si associa l'eccellenza del progetto culturale. Un progetto che, va detto, ha un sapore rivoluzionario. Non tanto perché inserisce nel genere del graphic novel, comunemente pensato come espressione artistica e di intrattenimento, una vocazione alla divulgazione dei processi storici (in fondo questa è la linea editoriale della casa editrice originale, la francese Futuropolis), quanto perché abbatte il muro di contenimento della ricerca scientifica di matrice accademica mettendola a servizio del grande pubblico senza posizionarsi super partes ma preoccupandosi, ed è questo il tratto distintivo di tutta l'opera, di inserire nei fumetti solo citazioni documentate, frutto di un'accurata ricerca storica. Forse per la prima volta nella storia dell'illustrazione, qui non si tratta di trasporre in grafica un saggio preesistente, ma di comporre un saggio in forma grafica. Il merito dell'operazione va principalmente all'autore dei testi, Jean-Pierre Filiu, in Italia sconosciuto ai più ma assai noto internazionalmente nella sua veste di docente universitario di storia del Medio Oriente, di consigliere del ministero degli Esteri francese, di opinionista per le più prestigiose testate nazionali oltre che di saggista di spessore concentrato sull'attualità più recente, come dimostrano le sue ultime pubblicazioni, La Révolution arabe. Dix leçons sur le soulèvement démocratique (2011) e Le Nouveau Moyen-Orient (2013, entrambi editi da Fayard). Il tono dell'intero progettodi Il mio miglior nemico si svela già nel primo capitolo di questo volume, che sarà il primo di una trilogia. In una sorta di cappello introduttivo che ha il sapore di una dichiarazione di intenti, si narra ‒ e siamo nel cuore della mitologia sumera ‒ di Gilgamesh e Endiku, fissati sulla carta nel momento in cui decidono di entrare in guerra con un "paese canaglia" ricco del legname di cui hanno bisogno per portare a termine la costruzione del loro tempio. Secondo gli autori, l'epilogo di quest'avventura è tutto racchiuso in un frammento della Stele degli avvoltoi, reperto archeologico mesopotamico ritrovato nell'odierno Irak e conservato al Louvre, che tristemente raffigura "i corpi dei vinti impilati in una specie di monumento alla vittoria". A quest'immagine Jean-Pierre Filiu e David B. accostano la piramide di corpi nudi dei prigionieri di Abu Ghraib così come appaiono nelle tristemente note foto-ricordo che alcuni soldati americani si sono fatti scattare nel 2004, e ci comunicano che "volutamente abbiamo messo in bocca a Gilgamesh e a Endiku parole dette nel 2002 e nel 2003 da George W. Bush e Donald Rumsfeld". Il dado è tratto, le tragedie contemporanee entrano in risonanza con l'altrettanto tragica mitologia fondatrice del mondo, peraltro condivisa con le popolazioni della regione. Seguono, in questo primo volume, tre episodi scelti per illustrare l'evolversi degli interessi statunitensi in Medio Oriente. Nel primo, Barbareschi, ambientato alla fine del XVIII secolo, la volontà è di rendere sicure per i propri commerci le vie marittime. Nel secondo, Petrolio, di garantirsi l'approvvigionamento di oro nero. Ma è nel terzo episodio, Colpo di Stato, ambientato in Iran, che si entra nel vivo e si affronta il nodo dell'ingerenza negli affari interni dei paesi dell'area. L'episodio narrato data agli anni cinquanta e segue passo passo la preparazione del golpe che porterà alla destituzione del primo ministro Mossadeq e al trionfale ritorno in patria dello scià Mohammad Reza Pahlavi dopo una precipitosa fuga romana. "Per la Cia ‒ ci dicono gli autori, ‒ l'operazione è un successo, un enorme impatto a un costo limitato". Da quanto è dato capire dall'anteprima contenuta nelle ultime pagine del volume (il secondo tomo inizierà con la guerra dei Sei giorni), il progetto ha in animo di proseguire proprio sul solco dell'ingerenza statunitense, sottolineando come ogni singola "operazione" sia stata dettata dalla volontà di porre un argine all'avanzata del comunismo internazionale anche e soprattutto nei "presunti satelliti di Mosca in Medio Oriente". Elisabetta Bartuli
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