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Anno edizione: 2020
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Se molto è già stato detto sul Giorgio Morandi artista, è ancora possibile accostarsi «sotto altro aspetto» all'uomo senza per questo eludere le tappe della sua fortuna critica. È proprio quanto fa Luigi Magnani, collezionista e artefice della fondazione che porta il suo nome: forte della lunga e profonda amicizia che lo legò al pittore bolognese, mette la sua erudizione e sensibilità al servizio di un'affinità elettiva che si traduce in un affettuoso ritratto. Senza mai ricadere in una facile agiografia o in un'evocazione pedissequa dell'opera, queste memorie amplificano i tratti sostanziali della figura di Morandi, lasciando che a essere rivelatrici siano le sue stesse parole, l'essenza stessa di quel furor creativo che si manifesta nei gesti quotidiani, come quello singolare di ricercare con il cannocchiale l'esatta inquadratura del paesaggio («Lo vede lassù il suo quadro? L'ho dipinto in questa stanza»). L'artista emerge così «nei suoi gusti, nei suoi umori, e non meno nelle sue qualità», tra cui spicca, come scrive Stefano Roffi nella nuova prefazione, l'aver sempre rifuggito qualsiasi appartenenza artistica, dipingendo solo «per quei pochi che sentiva partecipi del suo mondo». "Il mio Morandi", apparso per la prima volta nel 1982, è la testimonianza di una personalità schiva e raffinata, ed è accompagnato da un insieme di lettere dell'artista che, quasi duplicando la narrazione, la rendono maggiormente tangibile. Rileggerlo oggi non significa solo ripercorrere la storia di un legame ventennale di stima reciproca, significa soprattutto riscoprire il più intimo e peculiare sentire di Morandi. Quello di un enigmatico, stregonesco e rigoroso interprete della natura, riconoscendovi «quanto di umano ha trovato espressione, mediante la forma, nella sua pittura».
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