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Anno edizione: 2015
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Inutile fare giri di parole: non mi ha affatto convinto la tesi di Amir Aczel, che in questo suo libro mette insieme misticismo e matematica, e soprattutto decide che chi si occupa troppo degli infiniti impazzisce: non solo Cantor, ma anche Gödel (che dell'ipotesi del continuo si è occupato solo per una piccola parte della sua produzione), e finanche Post e Zermelo, per non parlare di Galileo. (Paul Cohen però no. Chissa perché). Non metto becco sulla parte legata al misticismo; la parte matematica moderna è comunque ben trattata, pur se Gianluigi Olivieri non conosce bene la terminologia matematica italiana parlando di insiemi contabili anziché numerabili e dell'assioma "di" (e non "della") scelta; ma su quella antica c'è da mettersi le mani nei capelli, con Archimede che avrebbe calcolato il volume di un cono inscritto in una sfera mentre in realtà era una sfera inscritta in un cilindro (e no, questo non è un errore di traduzione, è così anche nell'originale). Sul fronte positivo, il libro può essere utile a chi si è fermato ai paradossi "facili" sull'infinito, come l'albergo di Hilbert, e vuole avere un'idea di cosa sia l'ipotesi del continuo e come la comunità matematica è riuscita a gestire la sua (non-)dimostrazione.
Aczel si dimostra essere un divulgatore di grande intensità legata alla grande semplicità con la quale scrive le sue opere. L'amore verso la matematica e l'impegno con il quale essa viene ricercata all'interno di temi apparentemente molto distanti sono centrali nel suo lavoro, nel quale l'infinito viene descritto non solo come biografia di chi per primo l'ha attualizzato, ma anche con riferimenti letterari, storici, scientifici e artistici. Davvero un ottimo saggio per chi vuole saperne qualcosa in più sull'argomento.
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