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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2016
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Questo libro è assolutamente da leggere se si è appassionati dell'evoluzione dell'uomo. Un libro che non può mancare nelle biblioteche di storia naturale.
Quella che Damiano Marchi – paleoantropologo dell’università di Pisa – ricostruisce ne Il mistero di Homo naledi (Mondadori, 2016) è davvero la storia di una scoperta straordinaria, una scoperta destinata a cambiare profondamente il modo di pensare all’evoluzione umana. I primi Homo sapiens a varcare la camera segreta dell’uomo stella sono stati gli speleologi Steven Tucker e Rick Hunter; doveva essere una semplice spedizione perlustrativa, ma spingendosi più in profondità dei tracciati mappati e penetrando per stretti pertugi i due si sono ritrovati letteralmente coi piedi su un grande tappeto di ossa fossili, i resti di una specie sconosciuta, lontana cugina dell’uomo moderno. Ritrovamenti così, in paleoantropologia sono rarissimi. Africa meridionale, regione di Maropeng, caverne di Rising Star (a circa cinquanta chilometri da Johannesburg), nella celebre vasta area denominata Cradle of Humankind (Culla dell’Umanità), è qui che è avvenuto il ritrovamento, a trenta metri di profondità, in un complesso sistema di grotte e cunicoli. Naledi in lingua locale sotho significa “stella”: qual miglior nome per questa «affascinante ed enigmatica creatura emersa dalle viscere della terra.» Sono trascorsi ormai tre anni dalla scoperta, i dati raccolti sono tanti ma ancora insufficienti; sarà possibile assegnargli un’identità più precisa quando si individuerà il frangente temporale d’appartenenza. Quest’antico e misterioso ominine ci ricorda che il genere Homo non si è evoluto in maniera lineare ma, al contrario, è andato incontro a veri e propri esperimenti evoluzionistici culminati di volta in volta in specie diverse disseminate lungo tutto il territorio africano. Ne Il mistero di Homo naledi Damiano Marchi, in un dialogo sempre aperto tra dati oggettivi e ipotesi suggestive, ci consegna uno studio puntuale e appassionato, condotto sul campo ma soprattutto vissuto umanamente, com’è proprio dell’uomo che si interroga sulle sue origini. (dalla recensione su "Amedit")
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