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All'inizio degli anni novanta, l'ambiente accademico israeliano fu scosso dalle voci di un "parricidio" in atto: quello compiuto da alcuni studiosi emergenti (fra cui Moshe Idel, dell'Università Ebraica di Gerusalemme) contro Gershom Scholem, colui che aveva dominato la ricerca sul pensiero ebraico post-biblico, e sulla Qabbalah in particolare, nel corso del Novecento. La leggenda era legata appunto alla statura di auctoritas che Scholem aveva acquisito negli anni, dentro e fuori il settore degli studi sulla mistica ebraica. In realtà, tutte le ricerche dei giovani studiosi partivano ogni volta (e partono tuttora) dal riconoscimento dell'opera scholemiana come una ricostruzione storico-culturale di straordinaria novità, ampiezza e spessore; al tempo stesso, affermavano la necessità di approfondire le sue intuizioni e di rivedere, senza timori reverenziali, quelle conclusioni che apparissero incomplete o insoddisfacenti.
Questo libro - edito in inglese nel 1999 e ora ben tradotto in italiano presso Adelphi - offre una rappresentazione consapevole di questo confronto dialettico fra generazioni. Come negli altri scritti di Idel, la pars construens della ricerca emerge da una rivisitazione critica della ricerca precedente. Si mettono in discussione alcune direttrici fondamentali dell'opera scholemiana sul piano del metodo e su quello dei contenuti, ma soprattutto la cristallizzazione e trasformazione in vulgata che col tempo ha reso quelle direttrici assunti ideologici non più confutabili. In questo caso, Idel propone le sue originali prospettive interpretative sul messianismo proprio mentre coglie il limite delle affermazioni di Scholem sull'idea messianica, segue il loro irrigidimento nell'opera di certi seguaci (come Dan, Tishby o Werblowsky) e mostra la loro ricezione acritica negli ambiti culturali più diversi.
Vi è una prima e fondamentale divergenza da sottolineare. Scholem ha collegato in modo strettissimo il messianismo ebraico alla percezione apocalittica della storia, all'idea di redenzione collettiva e pubblica, alla ricostruzione della terra-nazione, cercando poi di verificare nella storia del pensiero mistico ebraico la presenza di questa costellazione. Una tale prospettiva di ricerca - che avrebbe le sue radici in certi presupposti ideologici propri di Scholem e della sua generazione (non da ultimo, il sionismo) - finisce, secondo Idel, per tralasciare altre tipologie di messianismo ebraico che non rispondono a quella fenomenologia monocromatica. Idel intende proporre, al contrario, una "prospettiva policromatica", fondata sulla consapevolezza che esistono "modelli" differenti di messianismo sul piano diacronico e sul piano sincronico, e una varietà di forme in cui i mistici ebrei - in tempi diversi o in centri geografici diversi - hanno ripensato gli eventi escatologici.
Questa apertura metodologica e fenomenologica, necessaria per comprendere la varietà e la complessità dei fenomeni religiosi, è un tratto distintivo di ogni ricerca di Idel, ed emerge nel modo più netto in questo libro. Essa permette di verificare, ad esempio, che a partire dal medioevo il modello messianico-apocalittico è stato messo in secondo piano rispetto ad altri modelli di messianismo, già presenti nella prima Qabbalah (XIII-XIV secolo) e poi diversamente ripresi dai cabalisti successivi. Questi modelli alternativi risultavano più congeniali del modello apocalittico (di matrice popolare) alle categorie intellettuali composite (spesso di origine greca) di certi autori. "Mistici messianici" - sostiene Idel - non furono tanto movimenti popolari con tendenze apocalittiche, quanto individui appartenenti a cerchie elitarie che considerarono l'esperienza escatologica e l'attività messianica come interne alla propria esperienza mistica, interna, individuale. Per essi, la redenzione poteva dipendere dalla perfezione spirituale e dall'apoteosi del singolo (in questo modello, proprio di Avraham Abulafia, il Messia viene ontologizzato e spersonalizzato, persino identificato con l'Intelletto Agente della filosofia greca, e ciascun uomo può attingere lo stato messianico); oppure la redenzione equivaleva alla restaurazione dell'ordine divino e cosmico attraverso l'esecuzione dei rituali tradizionali (è il modello della Qabbalah teurgica, dove il Messia superno coincide con una delle emanazioni divine e il Messia umano coincide con il mistico, capace di influire su quella dimensione del divino); o ancora, la redenzione era strettamente legata a operazioni magiche volte a spezzare la continuità storica (come nel modello prevalente nella Qabbalah pratica del XV secolo).
Su queste basi, Idel procede a smontare alcuni nessi storico-culturali divenuti famosi grazie all'opera di Scholem e dei suoi seguaci. Essi si fondano su un paradigma interpretativo che Idel non esita a definire proprio di uno "storicismo ristretto": l'idea, cioè, che vi sia un legame diretto e necessario fra eventi di crisi nella realtà e coscienza messianica. Com'è noto, ad esempio, Scholem istituì un nesso decisivo fra l'espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492 e le costruzioni mistiche del Cinquecento (in particolare, il mito dell'esilio intra-divino nella Qabbalah luriana); secondo Idel, non vi è alcuna prova documentaria che la catastrofe storica abbia avuto un peso rilevante sugli autori mistici contemporanei, né che abbia dato vita a un'intensa attività messianica (la Qabbalah luriana segue per lo più il modello teurgico elaborato alla fine del Duecento). D'altra parte, il messianismo davvero apocalittico e di massa che esplode con il movimento sabbatiano non avrebbe a che fare con un'ampia diffusione della Qabbalah luriana (che non è affatto dimostrata), quanto con l'esperienza individuale del presunto Messia (la sua vita, la sua mente, la sua ripresa di concezioni cabalistiche pre-luriane).
La differenza di approccio emerge in particolare nella considerazione del Hassidismo. Scholem vi aveva colto una "neutralizzazione" del messianismo luriano/sabbatiano (come "reazione" al fallimento storico di quest'ultimo e come "procrastinazione" dellÆeschaton). Per Idel, è già scorretto parlare di "neutralizzazione": in realtà, non esiste "una idea messianica" (univoca e autentica); i mistici hassidici hanno proposto "un altro modello messianico" (o meglio, "una combinazione di modelli messianici"), rielaborando elementi presenti nella tradizione ebraica precedente. La configurazione proposta dal Hassidismo è dunque quella di un messianismo intenso e tuttavia individuale, interiore, spirituale, assai vicino a quello delineato secoli prima dalla Qabbalah estatica e dalla Qabbalah magica.
Naturalmente, la ricerca di Idel non si risolve solo in un confronto dialettico con quella scholemiana. La sua prospettiva panoramica, fondata su una fenomenologia dei modelli, permette di aprire un confronto assai ampio con tutta la storia delle religioni, focalizzando in particolare certi rapporti fra le varie scuole della mistica ebraica, il giudaismo antico e il cristianesimo (soprattutto attorno al tema del Messia-Re-Figlio-Angelo-Enoch). L'idea di fondo è che narrazioni e immagini, mythologoumena e termini relativi al "Messia" si riaffaccino a distanza di secoli o millenni, in contesti culturali e storici del tutto mutati, in forme analoghe, appena diverse o sapientemente distorte. A ogni modo, "sembra che solo nella mistica ebraica la realizzazione escatologica del singolo mistico sia così decisiva".
Se il libro segue lo sviluppo di questi temi secondo uno schema cronologico (dalle forme pre-cabbalistiche ai movimenti messianici del Novecento, con un'impressionante dovizia di analisi su autori e testi poco conosciuti), la struttura concettuale dell'opera impone a ogni passo riferimenti a tradizioni più antiche o diverse, nonché continue discussioni con la più aggiornata bibliografia sul messianismo (si veda soprattutto l'immenso apparato di note). È chiaro che l'intenzione prima dell'opera (quale emerge in forma invero un po' intricata nell'Introduzione e nelle Osservazioni conclusive) è operare una forte innovazione metodologica, che porti gli studiosi a discernere i continui ritorni e intrecci di modelli differenti di coscienza messianica. Le motivazioni di questi ritorni e di questi intrecci sono complesse: la coscienza messianica è legata alla storia secondo fili ben più misteriosi di quelli definiti da uno storicismo dogmatico. Se a volte un evento storico o collettivo (come l'invasione mongola in Oriente nel XIII secolo) può aver avuto un peso sull'immaginario escatologico ebraico, più spesso a determinare una tipologia messianica è stata la reinterpretazione degli eventi escatologici descritti dalla Bibbia in base a modelli teologici ispirati dalla filosofia greca, oppure la loro rilettura sulla base del ciclo rituale dell'ortodossia rabbinica, oppure la necessità di "dare senso" e "pienezza" alla propria esistenza individuale, o persino il "casuale" impatto di un corpus antico su un carattere dalla sensibilità spiccata (l'autocoscienza messianica di Shabbetay Tzewi, afferma Idel, potrebbe essere stata influenzata dalla lettura giovanile del Sefer ha-peli'ah, testo bizantino del XIV secolo, in cui compare un'associazione fra il nome Shabbetay-Saturno e il Messia).
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