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recensione di Belpoliti, M., L'Indice 1998, n.10
Prima scena.Il 26 dicembre 1934, al caffè di place Blanche, dove solitamente si riuniscono i surrealisti, Breton mostra agli amici, con aria molto misteriosa e compiaciuta, una manciata di semi messicani che posseggono il magico potere di saltare. I presenti si congratulano con Breton per la sua "scoperta" che conferma le loro teorie sul magico e il meraviglioso; tuttavia uno dei presenti avanza una proposta: dissezionare uno dei semi salterini, per verificare se non vi sia all'interno una larva. Breton s'indigna per l'atteggiamento sacrilego e discute animatamente con il giovane surrealista, Roger Caillois, che il giorno successivo si dimette dal gruppo con una lettera in cui discute i propri principi estetici.
Seconda scena. È il 1937 e il giovane Caillois - ha ventitré anni - accompagna attraverso il cortile della Sorbona sino alla fermata dell'autobus il suo maestro, Marcel Mauss, e discute con lui il tema della propria tesi, dedicata al vocabolario religioso dei Romani. Mauss è scettico e mette in guardia l'allievo sulle difficoltà che incontrerà; prima di salire sull'autobus in movimento - non ne parlerà mai più con Caillois, che del resto non la scriverà - il maestro ha il tempo per una battuta in cui sintetizza il problema: "l'"ordo rerum"".
In questi due episodi della vita di uno dei più complessi e al tempo stesso affascinanti scrittori francesi di questo secolo - Caillois è insieme saggista, narratore e poeta, oltre che traduttore ed editore - si compendiano le ragioni stesse della sua opera: l'aspirazione a un'indagine rigorosa e coerente di tutto ciò che appare misterioso, nascosto, incongruo, eteroclito - "Io non sono un razionalista; io cerco la coerenza", è una delle sue frasi più celebri - e la ricerca di un sistema di analogie tra le forme appartenenti ad almeno due regni della tradizione: quello minerale e quello animale. "Il mito e l'uomo" è il libro chiave della sua intera opera, e comprende al suo interno il saggio che lo ha reso famoso e ne rappresenta esso stesso l'ideogramma: "La mantide religiosa", pubblicato nel 1934 nella rivista "Minotaure", poi ripubblicato in "Mesures", quindi raccolto in volume nel 1938, anno della prima edizione di "Il mito e l'uomo", e ristampato tale e quale nel 1972 con una nuova breve prefazione.
Il saggio, giocato tutto sull'inquietante analogia antropomorfica tra l'insetto e l'uomo, e sulla connessione biologica tra nutrizione e sessualità (dalla mantide che divora il maschio dopo la copula al fantasma della vagina dentata), aveva profondamente colpito i surrealisti. In quegli anni il tema e l'immagine della mantide religiosa erano nell'aria: Breton ne allevava degli esemplari, Eluard li collezionava, Giacometti fondeva nel bronzo "Femme Egorée", immagine della copula cannibalica, ma soprattutto Dalì pubblicava in "Minotaure" uno scritto rivisto in francese da Caillois stesso, "L'interpretazione paranoica" "dell'immagine ossessiva dell'Angelus di Millet", in cui l'immagine della donna in preghiera accanto al contadino era letta come quella di una mantide. Nel suo saggio sull'insetto Caillois non si limita a mettere in fila e ad analizzare tutta una serie di figure mitiche e popolari della mantide, collegandole alle fantasie presenti in differenti popoli, e tutte legate al rapporto tra cibo e sessualità femminile, ma enuncia quella che è la chiave di volta delle sue successive indagini: tra l'uomo e l'insetto c'è uno stretto legame, dal momento che entrambi fanno parte della medesima natura: "In qualche misura sono retti dalle stesse leggi. La biologia comparata copre gli uni e gli altri". L'insetto è dominato dall'istinto e di conseguenza da una forma di automatismo, mentre l'uomo, grazie alla sua intelligenza, è più libero di giudicare, rifiutare, per quanto tutto ciò - scrive Caillois, - renda più lenti i rapporti tra rappresentazione e azione.
In "Il mito e l'uomo" egli sottolinea come le immagini fantastiche sorgano nell'uomo al posto dell'atto scatenato e svolgano il ruolo che nell'insetto invece è proprio dell'istinto. Usando il Bergson delle "Due fonti della morale e della religione", Caillois parla di "istinti reali" e "istinti virtuali"; i miti umani non sarebbero altro che il luogo in cui gli istinti si prendono le soddisfazioni che la realtà rifiuta loro: nell'uomo la funzione affabulatrice, propria del mito, tiene il posto che il comportamento istintivo ha nell'insetto.
Le teorie di Caillois fondono elementi diversi provenienti dalla psicoanalisi freudiana, dal romanticismo, dalla filosofia francese dell'inizio del secolo, dalle teorie biologiche, dal darwinismo degli apologeti, ma anche dalle indagini della psichiatria positivista dell'Ottocento, senza dimenticarci dei suoi maestri di antropologia, Marcel Mauss in testa; il tutto è fuso in un crogiolo che all'epoca teneva in ebollizione argomenti, temi e teorie che oggi possono apparire quasi scontati, anche perché sono stati resi consueti dalla diffusione delle opere di George Bataille, amico di Caillois e cofondatore del celebre Collège de Sociologie, oltre che dalle infinite vulgate che se ne sono fatte negli ultimi trent'anni.
"Il mito e l'uomo" si presenta come un libro ricco di sollecitazioni e di immagini inconsuete, ma anche un'opera misteriosa e piena di sottintesi, come è evidente nel capitolo sul mimetismo, "Mimetismo e psicoastenia leggendaria", in cui si discute insieme del mimetismo animale e di una malattia psichica; oppure nei due saggi dedicati rispettivamente all'impero sotterraneo di un imperatore cinese e all'architettura del palazzo di Minosse a Creta, veri e propri racconti che anticipano i temi della "pietrificazione" cui Caillois si dedicherà a partire dagli anni sessanta. Anche il suo scritto "Parigi, mito moderno" costituisce una curiosa indagine intorno all'idea di Parigi come personaggio mitico, organismo vivente, dotato come un uomo di una doppia identità misteriosa e inafferrabile. Caillois resta ancor oggi un autore originale che non rientra in nessuna tassonomia letteraria, uno scrittore che nessuna lettura o indagine riesce a circoscrivere o a classificare, il che, coi tempi che corrono, non è poco.
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