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Ho ritrovato la voce originale e avvolgente e lo stile pulito e lineare così tipici dell'autrice. Ma non immaginavo di rimanere in parte delusa proprio da quello stile: fastidiosamente descrittivo, dal ritmo spesso lento e noioso, ho faticato a superare le prime 100 pagine. La capacità della Lahiri di dare forma all'immensa solitudine interiore dei suoi personaggi è impressionante però e qui si affoga in un oceano di mestizia. Infine, perchè quel titolo per l'edizione italiana? È Udayan, il fratello, la figura attorno a cui ruota la storia e che stravolge le vite di tutti gli altri.
Nella caotica Calcutta degli anni ‘50, crescono Subhash e Udayan, il primo silenzioso e riflessivo, il secondo ribelle ed esuberante. I due fratelli sono l’uno l’opposto dell’altro, eppure nella loro diversità si completano. Quando il vento del ’68 prende a soffiare, inneggiando a ideali egualitari e anti borghesi, Udayan rimane affascinato dal movimento maoista. La sua scelta di seguirne i principi e la speranza di rivoluzionare la società indiana, lo porterà ad allontanarsi dal fratello, partito per studiare negli Stati Uniti e deciso ad affrancarsi dall’ombra di Udayan. Non dico di più, perché in questo libro denso in cui la narrazione, pur essendo tutta in terza persona, riporta mano a mano le vite e quindi i punti di vista di tutti i protagonisti, la trama e lo svolgimento sono essenziali. Ed è bello scoprirlo, pagina dopo pagina, leggendolo. Jhumpa Lahiri ha un’incredibile capacità di raccontare lo smarrimento, la voglia di riscatto, la paura, l'importanza dei legami familiari e allo stesso tempo il loro essere lacci difficili, se non impossibili da spezzare. Un romanzo triste, malinconico, che parla di solitudini, di incapacità di comunicare, di scelte che si riverberano sugli altri, come un sasso lanciato in uno stagno che allarga i suoi cerchi.
La vicenda del romanzo è avvincente. Ma l'autrice secondo me è più abile nel rendere l'atmosfera degli esterni, piuttosto che aprire lo sguardo sulla profondità degli "interni" dei suoi personaggi. Soprattutto per quanto riguarda la protagonista, la moglie, appunto. Purtroppo siamo lontani dalla maestria degli autori Americani, che riescono a scandagliare l'umanità, buona o cattiva, degli attori sulla scena, in cui ci rispecchiamo, nelle loro relazioni, conflitti, ambivalenze, contraddizioni. Paula Fox, per citarne una. In contrasto coi commenti che mi hanno preceduta, io ho sentito opacità e piattezza nel modo in cui è stata creata psicologicamente la protagonista. Come se non si riuscisse ad accedere ad una tridimensionalità. Nonostante questo, resta un libro che si lascia leggere fino alla fine con interesse.
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