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Talvolta la storiografia acquisisce nuove conoscenze, rafforza interpretazioni che parevano in declino, le arricchisce di dettagli inediti e rispolvera episodi e personaggi che filoni interpretativi eletti a mode del momento avevano gettato nell'oblio. Capita così che l'attenzione prestata al ventennio fascista da studiosi di storia delle istituzioni politiche come Paolo Colombo favorisca il riemergere di una lettura per certi aspetti "classica". Il fascismo non sarebbe un compiuto stato totalitario, integralmente condizionato da un'ideologia indubbiamente totalizzante e tesa alla realizzazione di una modernità reazionaria e di una rivoluzione conservatrice. Sarebbe piuttosto la componente nuova di una costruzione statuale ibridata, inquinata proprio dall'innesto violento di questa componente, originariamente movimentista e decisamente antisistemica. Colombo è attento studioso del funzionamento dell'istituto monarchico nell'Italia prima liberale, poi fascista. Con questo studio si concentra sul ruolo giocato dentro la "diarchia" dalla corona, intesa come istituzione che risente della personalità di chi in quel momento incarna l'autorità regia. Un ruolo che è politico e nel contempo simbolico. In entrambi i casi è stato decisivo per l'ascesa al potere di Mussolini, l'outsider di origini rivoluzionarie che mai dismise un atteggiamento di profonda avversione verso il regime costituzionale liberal-parlamentare. Uno dei maggiori meriti di Colombo è quello di offrirci una ricostruzione attenta alla concreta, quasi quotidiana, fenomenologia storica delle dinamiche istituzionali. Ne risulta che re e duce crearono un sodalizio, punteggiato di tensioni e tentativi di estromissione, molti quelli di parte mussoliniana, assai minori, ma fatali, quelli di parte regia. I due compresero il vantaggio di sostenersi; ne nacque una dittatura ventennale.
Danilo Breschi
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