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Anno edizione: 2015
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E' una raccolta di racconti-poesia enigmatici e visionari, privi di una vera trama. Il fascino della scrittura è tutto nelle parole, taglienti e preziose come diamanti purissimi. Immergersi in questo libro è come immergersi in un meraviglioso mondo sommerso fatto di coralli. Un piccolo gioiello.
Recensioni
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recensioni di Splendore, P. L'Indice del 2000, n. 07
Tutti i luoghi, le visioni, le bizzarrie e la retorica di Jeanette Winterson sono presenti nel volume Il mondo e altri luoghi, diciassette racconti scritti in un arco di tempo lungo quanto tutta la carriera letteraria dell'ex enfant terrible delle lettere inglesi contemporanee, racconti che in vario modo echeggiano il suo compatto universo narrativo. Frequenti i rimandi intertestuali: ci sono racconti che si leggono quasi come pagine aggiunte, frammenti, filiazioni di romanzi precedenti; è il caso di La poetica del sesso, che richiama in maniera esplicita l'intensa materia erotico-didascalica di Scritto sul corpo e di Salmi, che a sua volta rinvia all'atmosfera evangelica di Non ci sono solo le arance, il suo fortunato romanzo di esordio del 1985, due tra le sue opere migliori. Ma è soprattutto il linguaggio inconfondibile, veloce, brillante, di Jeanette Winterson a dare unità alla raccolta. La prosa è leggera e scorrevole, per lo più priva dei preziosismi e dell'assertività che appesantiscono i suoi romanzi più recenti; spazi e figure ariose come la bella immagine di copertina di un volo umano - una donna in tuta e cloche bianca, diretta oltre i confini della pagina non importa dove, un'immagine che sta lì ad affermare che il viaggio conta nell'esistenza di un individuo come esperienza autosufficiente, non necessariamente legata a una meta. Può restare a volte un desiderio sospeso, una possibilità, un sogno, ma non per questo meno rilevante.
Nella geografia inventata di questi racconti il mondo è un luogo tra tanti, una "pergamena arrotolata su se stessa" in cui tempo e spazio si annullano. Oppure il mondo è una nave che attraversa l'Atlantico, il cui corpo invisibile diventa la vera meta del viaggio. Nel racconto Agli albori del mondo esistono quattro isole, Fyr, Hydor, Erde, Aeros, dominate dai quattro elementi primordiali fuoco acqua terra aria, in cui si aggirano alieni visitatori che ne registrano caratteri e stranezze, come il fatto che a Erde si bruciano diamanti come combustibile e che Aeros sia un'isola sospesa nell'aria, visibile solo dall'alto. Ma Aeros è il regno della musica e della parola, da cui provengono tutte le storie del mondo, dove tutti sono grandi narratori e si viaggia sulle ali di una storia, dove una donna si addormenta su un letto di storie "con una storia rimboccata fin sul mento", dove un uomo "si siede, si cuoce una storia e la mangia" e dove i viaggiatori sono destinati a diventare anch'essi parte della storia. La vena fantastica e surreale di Winterson, che ricorda a tratti Julio Cortázar, Italo Calvino e Angela Carter, fa parte del suo repertorio più genuino, che in ogni opera ha offerto in maniera più o meno programmatica parodie e profanazioni, contaminazioni di generi e linguaggi.
Ma c'è un'altra vena, altrettanto caratteristica dell'autrice - definiamola "malinconico-speculativa" -, che si esprime in uno stato d'essere dei personaggi ricorrente nei racconti, il desiderio di lasciare tutto e tutti, sottraendosi alla trappola dei sentimenti, per poter vivere un sogno in totale libertà. Nel racconto che dà il titolo alla raccolta, ad esempio, il protagonista manifesta fin dall'infanzia chiari segni di una vocazione al volo, confermata più tardi nel mestiere di pilota e di istruttore, una passione che si rivela via via come incapacità di vivere la vita, di abitare il mondo. Il viaggio interminabile dovrebbe tradursi nella possibilità di cercare se stesso o di inventarsi. Anche il narratore di Un riquadro verde è angosciato dal desiderio di capire se stesso in un mondo dove ogni cosa è documentata e identificata. E mentre medita sulla quantità di spazzatura che si produce sulla terra, sui tubi di scarico intasati di casa sua, sul destino dei liquami delle fogne, verso i quali sente una qualche affinità, capisce che dovrebbe darsi una direzione, trovare una via d'uscita. Privo di punti di ancoraggio - non crede nella religione né nella scienza -, incapace di trovare la pace in vent'anni di silenzioso tiro con l'arco o galleggiando in una barca sull'acqua, l'unica cosa che riesce a fare è colorare di verde il riquadro del giorno sull'agenda: "Tanto il mondo è comunque un manicomio". L'incapacità di liberarsi della normalità, di riuscire a vivere la propria follia, lo accomuna alla protagonista del racconto Il cane di un giorno, che riporta al canile un cucciolo dopo solo un giorno perché ha paura di non riuscire a tenere a bada i propri sentimenti, per poi subito scoprire che il cane è ineliminabile: "io non posso perderlo e lui non può morire. Rimane per sempre parte dello schema, della danza, e corre al mio fianco, pieno di gioia". Sono questi, a me pare, i racconti migliori: quelli che parlano della condizione dell'uomo contemporaneo in un mondo che non dà certezze. Privo di grandi ambizioni, pavido, diffidente della forza dei sentimenti ma capace di una disperazione cosmica. Non è un caso se i racconti hanno spesso il linguaggio della favola e i personaggi cercano nella creazione di universi paralleli consolazioni alla piattezza e all'infelicità del mondo.
La necessità di credere in mondi alternativi, l'esplorazione divertita di altre possibilità del reale, il diritto al sogno, esprimono anche la componente riflessiva della scrittura di Winterson, che risolve alcuni racconti con l'intervento soprannaturale, come se alla letteratura - come alla fiaba - spettasse una funzione consolatoria. Nel Primo Natale di O'Brien, ad esempio, la commessa di un grande magazzino esclusa dall'intossicazione consumistica del Natale perché irrimediabilmente sola e priva di aspettative trova alla fine, grazie all'intervento di una fata, il suo Babbo Natale. In uno dei racconti centrali della raccolta, Sparizioni I, si rappresenta un incubo futuristico non molto lontano da certe angosce del presente: in un mondo in cui è vietato dormire e quindi sognare, tali funzioni antigieniche sono consentite soltanto a impiegati statali che agiscono da "sognatori pubblici", i cui sogni, censurati e teletrasmessi in vari Punti-sogno della città, possono essere visionati a pagamento dai non-dormienti in locali come La Caverna di Morfeo e la Bella Addormentata. Nello scenario iperattivo del ventunesimo secolo, in "un mondo che ha smarrito la trama", questa favola potrebbe leggersi come pessimista metafora dello scrittore, o dell'artista, il solo abilitato a svolgere un compito divenuto obsoleto, ridondante, inutile (forse pericoloso?). Riflettendo sul futuro della letteratura nella raccolta di saggi Art Objects (del 1995, non ancora tradotta in italiano), Winterson individua nello sperimentalismo l'unica possibilità di sopravvivenza del romanzo, e indica il percorso nel solco tracciato da Virginia Woolf e da Gertrude Stein. La letteratura deve esprimere il dono di una visione, non imitare se stessa o, peggio ancora, replicare il romanzo dell'Ottocento e la fiction televisiva. Deve sapere usare le parole in nuove combinazioni. È nell'uso della parola, il più possibile libera e spiazzante, il tratto più caratteristico della scrittura di Winterson: una ricetta non sempre riuscita ma che dice molto sul mondo di valori dell'autrice, sul rifiuto ad ogni costo della "normalità borghese" come delle convenzioni letterarie, e sulla fede incrollabile nella forza della narrazione.
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