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recensioni di Bonino, G. L'Indice del 2000, n. 04
Già dalla copertina questo libro ci promette una specie di paradosso: il sottotitolo dice che si tratta di un "saggio sulla filosofia del linguaggio", mentre la collana di cui fa parte si chiama "Modernistica. Saggi di cultura letteraria". È chiaro che tra linguaggio e letteratura i rapporti sono quanto mai stretti, però nell'usuale partizione disciplinare non è così frequente vedere studi che si situino a cavallo tra queste due aree. Ma non si può nemmeno dire che Brioschi si collochi davvero a cavallo tra due discipline, perché il suo libro è in tutto e per tutto di filosofia del linguaggio (e semiologia, e linguistica); eppure la letteratura c'entra molto. Torneremo più avanti sulla strana posizione di questo libro. Rivolgiamoci ora ai contenuti.
Gli studi di letteratura - afferma Brioschi nella premessa - sono stati fortemente influenzati negli ultimi decenni da una concezione del tutto particolare del linguaggio. A partire dallo strutturalismo, gli oggetti della linguistica sono stati comunemente identificati non come le entità fisiche individuali che costituiscono le parole o i fonemi (macchie di inchiostro sulla carta, onde sonore...), ma con entità in qualche modo astratte: per la linguistica, se scrivo "topo", "topo", non ho a che fare con due parole distinte, ma con una sola parola. In breve la linguistica si occupa non di individui, ma di universali. In questo non c'è nulla di male, ma a partire di qui si è sviluppata una retorica della langue come sistema, costituito da entità immateriali ipostatizzate, logicamente precedente agli atti di parole che lo realizzano. In un primo tempo questa tendenza ha favorito il fiorire di un atteggiamento di rigore scientifico nei confronti degli studi linguistici e semiotici, caratteristico dello strutturalismo. Ma in seguito, questo realismo degli universali, unito all'obliterazione del riferimento (il significato di una parola non dipende dall'oggetto a cui la parola si riferisce, ma dal senso immanente della parola stessa, determinato esclusivamente dalle relazioni della parola con le altre parole all'interno del sistema), ha condotto alle posizioni del corrente decostruzionismo. L'autonomia della langue, oltre che far dimenticare gli aspetti fisici concreti del linguaggio, ha reso in qualche modo superfluo il soggetto degli atti di parole, mentre l'opzione per una semantica immanente al linguaggio ha cancellato il mondo esterno a cui ingenuamente si può pensare che il linguaggio faccia riferimento. Rimane solo il testo, che "possiede nientemeno un''intenzione', e 'vuole', 'decide', 'agisce', 'interroga' il suo lettore": insomma, il n'y a pas de hors-texte. Da qui all'idea heideggeriana della Parola come Dimora dell'Essere il passo è evidentemente breve.
Brioschi non ha alcuna simpatia per questa derealizzazione del mondo accompagnata dall'ontologizzazione del linguaggio, né per le conseguenze che essa ha generato nel campo degli studi letterari. Un mondo di individui è un tentativo di elaborare una diversa concezione del linguaggio, che non renda inevitabile la deriva decostruzionista. A questo scopo Brioschi decide di affrontare la questione alla radice, rivolgendosi direttamente a una critica dei due principi che abbiamo visto all'opera a partire dallo strutturalismo: il realismo degli universali e l'esclusione del riferimento dalla semantica. A questi due obiettivi sono dedicate le due parti del libro. Nella prima viene sviluppata una concezione nominalistica del linguaggio, che non riconosce la realtà degli universali, ma cerca di sostituirli con la nozione di copia di un'entità individuale. In questa operazione Brioschi si ispira tra l'altro alle posizioni del filosofo analitico americano Nelson Goodman, dal cui noto articolo A World of Individuals il titolo del libro è dichiaratamente tratto. Nella seconda parte ci si concentra maggiormente sulla semantica, che secondo Brioschi deve essere fondata in una dimensione pragmatica, che tenga conto degli impegni ontologici e delle intenzioni comunicative del parlante.
Non è naturalmente possibile seguire qui nei dettagli le argomentazioni dell'autore, che costruisce un "saggio sulla filosofia del linguaggio" a tutti gli effetti, compresi alcuni capitoli introduttivi per fornire ai lettori letterati non necessariamente esperti di filosofia del linguaggio le nozioni necessarie alla comprensione dei capitoli successivi.
Tornando alla natura del tutto particolare di questo libro, a parte le brevi considerazioni della premessa, pochissimi sono i riferimenti diretti alla teoria letteraria vera e propria, e ci si muove quasi sempre tra ontologia, filosofia del linguaggio, logica, linguistica e semiologia. E tuttavia non si tratta di un libro per filosofi del linguaggio, che non troverebbero forse soluzioni particolarmente nuove, ma per chi è interessato agli studi letterari. Il baricentro intenzionale del libro, per così dire, è posto fuori dal libro stesso. Molto adatte a questo proposito sono le parole usate da Wittgenstein per presentare il suo Tractatus Logico-Philosophicus a un possibile editore tedesco: "il mio lavoro consiste di due parti: di quella che è qui, e di tutto ciò che non ho scritto". Pur riguardando strettamente la filosofia del linguaggio, Un mondo di individui acquisisce il suo significato solo se considerato in relazione agli obiettivi teorico-letterari di cui pure Brioschi non parla se non nella premessa. Questa non deve essere naturalmente intesa come una critica, e l'autore è del resto pienamente consapevole della bizzarra natura del suo libro. Si tratta invero di un'operazione assai meritevole, che confessa obiettivi in senso lato "ideologici", "militanti", concernenti anche questioni di "politica culturale", ma ha il coraggio di perseguirli scendendo a un livello di analisi assai profondo, ricercando i fondamenti teorici anche apparentemente più lontani. Non si tratta certamente di un genere di impresa molto diffuso nell'attuale panorama di studi letterari, e proprio per questo è tanto più interessante. Le basi filosofiche sono indagate; per quanto riguarda gli obiettivi (e al tempo stesso le conseguenze) estetico-letterari, come dice l'autore stesso, "considerando che ne ho già discusso altrove, mi è parso inutile ripetermi".
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