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Il recupero funzionale del forte ottocentesco di Vinadio si inserisce in un filone di interventi di riscoperta e riutilizzo delle fortezze alpine, dopo quelle di Exilles e di Bard; i forti, tradizionalmente punti privilegiati e strategici di osservazione, mantengono questa vocazione offrendosi come spazi di raccolta di oggetti e saperi, baluardi a difesa della memoria degli individui e del territorio.
Il libro mostra in cosa consista l'interpretazione, da parte del team di creativi milanesi Studio Azzurro, dei temi che ruotano intorno all'idea portante della montagna e del "movimento", carattere che connota aspetti della sua storia, vicina e lontana, e del suo presente. Il movimento è quello dei confini fluttuanti disegnati da inferenze e poteri, escartons unità territoriali che godevano di una certa autonomia di governo e statuti uniti, dei percorsi di emigranti e pastori, contrabbandieri e soldati, alpinisti e turisti, e infine dei viaggi dagli artisti.
Non potendo riportare nel formato del libro la fascinazione di "ambienti sensibili", videoambienti e installazioni interattive, si è ricorso alla presentazione dei pannelli introduttivi ai diversi ambienti accompagnati dagli schizzi di progetto che si sovrappongono a immagini e sequenze, in un sintetico storyboard che chiarisce il tema e il principio di azionamento delle stazioni del percorso.
Non si tratta di un catalogo di un museo o di una mostra, quanto, piuttosto, di un solido biglietto d'invito, che propone non solo di visitare le valli del cuneese e il forte, ma che inoltre invita a riconsiderare la montagna e ripensare il nostro modo di fruirne. Non sono solo le cave, l'edilizia selvaggia, il turismo di massa che offendono le valli: sono prima ancora l'abbandono, lo spopolamento, l'oblio, ma anche un modo di ricostruire la storia delle persone e dei luoghi per macigni concettuali che rischiano di portare a pericolosi arroccamenti, idealizzazioni, banalizzazioni. Emblematico, in questo senso, anche se forse non del tutto compreso nella sua carica critica, il dialogo, in apertura di una delle premesse, tra la troupe giunta nella borgata di Ferriere per effettuare alcune riprese e un'abitante del luogo.
Si sente forse la mancanza di un contributo più consistente dedicato ai conflitti, primo fra tutti la guerra di Resistenza, dei partigiani valdesi in Val Varaita, delle formazioni di Giustizia e Libertà, del partigiano Johnny, tassello della storia di quelle pendici che per ora è affidato solo a un fiume di nomi, vittime di ogni parte delle molte guerre del Novecento. Mancano le orme lasciate da Duccio Galimberti e Beppe Fenoglio e le storie dei "vinti" di Nuto Revelli, dei poveri, degli "altri", dei "dispersi", della masca, della desmentiòura, dello spirit fulét,figure che abitarono nelle fessure aperte tra il reale e l'immaginario, misura delle contraddizioni e dei misteri della montagna. Contraddizioni che si leggono limpidamente nel bel film di Giorgio Diritti, Il vento fa il suo giro, produzione cui gli abitanti della Val Maira hanno partecipato coralmente e intensamente, come l'omaggio dei titoli di coda dimostra con cura toccante. Paola Elena Boccalatte
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