L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (0)
Vallejo, Cesar, La vergine dei sicari, Guanda, 1999
Charyn, Jerome, Morte di un re del tango, Tropea, 1999
recensioni di Piccoli, G. L'Indice del 2000, n. 02
Quando a Napoli o a Palermo si arriva in un anno a cento morti ammazzati scatta come un antifurto il trito teatrino di conferenze stampa, reportage a tutta pagina e speciali tivù. A Medellin invece nessuno se ne accorge. Anche perché si raggiunge quella cifra più o meno nel giorno della Befana per poi proseguire al ritmo di dieci, quindici omicidi al giorno.
Ai tempi di Escobar, dal 1991 al '93, si stabilì il record di seimila morti l'anno. Allora, don Pablo aveva messo una taglia di circa due milioni di lire sulla testa di ogni poliziotto. E, in risposta, i colleghi di ogni poliziotto morto amavano vedicarlo mitragliando dai fuoristrada coi vetri fumé gli adolescenti fermi davanti alle caffetterie delle comunas.
Poi, morto Escobar e scoperto il business della pace, la mattanza diminuì un pochino. Ma non tanto. Nei primi tre mesi del '99, ad esempio, ci sono stati 1043 morti violente, delle quali 773 con arma da fuoco, un centinaio all'arma bianca e il resto con altri mezzi. Alla fine dell'anno scorso ci saranno stati quindi poco più di quattromila omicidi. Una bella cifra per una città di appena un milione e mezzo di abitanti.
Se c'è un inferno sulla terra - non provvisorio, non dovuto a eventi passeggeri come guerre o rivoluzioni - questo è quindi Medellin.
Se la Colombia ha generato il realismo magico, con i suoi eccessi, la sua confusione di realtà e fantasia, di El Dorado e Macondo, Medellin non poteva che ispirare il pulp. Non tanto nei film, perché sono ovviamente pochi i produttori e i registi disposti a rischiare le attrezzature e soprattutto la borsa o la vita filmando nelle sue strade. Ma soprattutto nella saggistica, con opere dai titoli come I commandos della morte, Il ragazzino che non è durato niente, Nati per crepare, Cronache che ammazzano, Coca nostra, Quando si è fottuta Medellin, e così via. Saggi che disegnano una realtà tanto colorata e assurda da sembrare romanzi.
E Medellin, ovviamente, ha ispirato anche parecchi romanzi, che si rivelano tanto descrittivi da sembrare saggi.
In quello di Cesar Vallejo, La vergine dei sicari, il protagonista, un raffinato professore tornato dopo tanti anni nella sua città natale, sostiene ad esempio che a Medellin non "rimane neppure un'oasi di pace. Dicono che fanno rapine durante i battesimi, le nozze, le veglie funebri, i funerali. Che perfino durante la messa al cimitero si ammazzano i vivi che accompagnano i morti. Che se cade un aereo saccheggiano i cadaveri. Che se vieni investito da un'auto mani caritatevoli ti sfilano il portafoglio mentre ti fanno il favore di metterti su un taxi per l'ospedale. A Medellin ci sono trentacinquemila taxi disoccupati occupati a rapinare. Uno per ogni macchina privata. È meglio viaggiare in autobus, ma forse neanche lì conviene, rapinano anche quelli. In ospedale hanno dato il colpo di grazia a uno a cui avevano sparato non so dove. Qui l'unica sicurezza è la morte".
Il professore si fa accompagnare nel suo tour delirante da un paio di giovani amanti, sicari di professione. Come tutti i loro giovanissimi colleghi, Alexis e Wilmar sono innamorati della mamma e della Madonna, soprattutto della statua di Maria Ausiliatrice della chiesetta di Sabaneta (appunto "la vergine dei sicari"), meta ogni martedi pomeriggio di insoliti pellegrinaggi di fidanzatine di morti ancora caldi e di carcerati, ma soprattutto di killer che chiedono protezione. E buona mira.
La novella si svolge tra abbracci, preghiere e delitti. Davanti allo scrittore, in un'orgia di sangue, crepano, preferibilmente con una pallottola in fronte, un punk che tiene troppo alto il volume di un rock vecchio e brutto, tre poliziotti incauti in un posto di blocco, un passante scontroso, un taxista maleducato, tre pedanti attivisti dei diritti umani, un piccolo straccione, un mimo che si burla del prossimo, uno scarto umano che si burla degli Hare Krishna, un mendicante antipatico, un uomo che frusta sadicamente il suo cavallo. E molti, molti altri.
Quello di Vallejo è un libro affascinante e coinvolgente, che racconta magistralmente la confusione tra bene e male, vita e morte. Tutto quello che Vallejo descrive è accaduto e può effettivamente accadere, come accadono le migliaia di morti ogni anno. La vergine dei sicari però va presa per quello che è: non un'inchiesta sul campo, ma una novella estrema, che vuole mostrare la catastrofe alla quale - secondo Vallejo - è destinato il mondo, e non solo la Colombia o Medellin.
Ben più leggera è invece Morte di un re del tango, dello statunitense Jerome Charyn. Un libro gradevole che racconta le vicissitudini di Yolanda, una rapinatrice colombiana fatta evadere dal penitenziario nordamericano di Harrington Hills dai Christian Commandos, un gruppo di agenti segreti yankee, per obbligarla a convincere suo cugino, Ruben Falcone, il capo del cartello di Medellin, a smetterla di produrre e smerciare cocaina. Agenti segreti, parastatali, ecologisti e un po' sfigati, che vogliono così salvare l'Amazzonia dai veleni buttati dagli aerei della Dea e dai massacri di indios ad opera degli squadroni della morte dei cercatori d'oro.
Don Ruben è la versione robinhoodiana di Pablo Escobar: è simpatico e tragico come un tanguero, è l'idolo dei ragazzini ed è il boss che fa costruire case e campetti da pallone per i diseredati delle comunas di Medellin e salva dalla fame i contadini che lavorano per lui. Così come i poliziotti della Securidad, che torturano e ammazzano come e più dei mafiosi, che sparano sui ragazzini agli angoli delle strade e che costringono le ragazzine a prostituirsi per loro, sono la versione appena più negativa di quelli veri, arroganti, violenti e dotati di una illimitata licenza di uccidere. O come il capo guerrigliero, il prete maoista Enrique leader del gruppo Mano Repartidora, che insegna a leggere ai contadini e tassa del 10% i guadagni dei narcos, è la fotocopia ritoccata dei capi della guerriglia delle Farc e dell'Eln, che dà tanti grattacapi alla Casa Bianca e al Pentagono. E la Medellin di Charyn, nella quale migliaia di ragazze campano stirando i dollari per farli diventare belli croccanti, assomiglia a quella vera che ha prosperato con la filosofia "por la plata lo que sea" (qualunque cosa per i soldi).
Morte di un re del tango prevede un fantastico sviluppo rosa-verde: con don Ruben che diventa ministro dell'ambiente e sposa Yolanda, coi gamines - i barboni bambini - che vanno in massa a scuola mettendo in crisi lo Stato di Bogotà, svuotandone le casse, e con gli indios che si appropriano finalmente delle loro foreste. E coi presidenti, degli Stati Uniti e della Colombia, che fanno una bellissima figura davanti alla comunità internazionale per essere riusciti a sconfiggere il narcotraffico (a differenza dei Clinton e Pastrana che lo alimentano con la loro "linea dura").
C'è da dire che una favoletta del genere l'avrebbe potuta pensare solo uno yankee come Charyn, mestierante spiritoso e arguto, che della Colombia sa o intuisce molto, ma che della Colombia può fare a meno, evitandola come si evita la peste. E assicurandosi quella distanza che gli consente leggerezza.
Operazione impossibile per il paisa Vallejo, che su Medellin, al massimo, può fare solo dell'amaro sarcasmo. La vergine dei sicari non ha un finale né verde né rosa. Semmai rosso sangue. Il romanzo si conclude col professore, rimasto orfano dei suoi giovani amanti, che canticchia dal bus che lo porta via da Medellin il ritornello di una canzone cult ("che ti arroti una macchina o che ti stritoli un treno").
Vallejo, comunque, è anche un gran burlone e gran provocatore.
Quando, nel febbraio scorso, presentò a Madrid La vergine dei sicari, diede spettacolo. Sostenendo che "Álvaro Mutis non sa scrivere" e che García Márquez è tutt'uno col potere e i potenti (cosa che fa inorridire solo gli ingenui europei). Dicendosi scettico riguardo ai negoziati tra il governo e la guerriglia: "l'unica pace in cui credo è quella dei morti". E affermando di non avere ancora avuto la sua pallottola a causa della sua scarsa fama in Colombia, assicurando però di "aspettarla con ansia". Balle. Se Charyn vive al sicuro nei suoi protettissimi States, anche Vallejo da anni non vive più a Medellin, ma a Città del Messico.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore