Napoli non è Berlino di Isaia Sales è un libro importante anche per i semplici cittadini. L'autore, nelle pagine conclusive, ricorda di aver "lasciato completamente la politica nel 2008". Il suo non è un caso frequente, anzi rarissimo. Soprattutto se si aggiunge che il suo distacco dalla politica non è stato forzato da cause giudiziarie, né da veti espliciti. È stato il risultato netto e deciso di una scelta personale. Se scrive oggi un libro sull'"ascesa e declino di Bassolino e del sogno di riscatto del Sud", come strilla il sottotitolo dalla copertina, lo fa non perché abbia qualcosa da difendere se non l'onestà della sua storia personale, che però nessuno ha mai messo in discussione ‒ né per doversi riposizionare nel caso nuove avventure politiche si rendessero ancora possibili. No, il suo obiettivo è "una onesta disanima di un'occasione storica mancata". Si augura, inoltre, "che sia possibile un dibattito approfondito senza remore e senza posizioni pregiudiziali o riguardi per chicchessia". Visto lo stato deplorevole del dibattito pubblico italiano, sembrerebbero le parole di un illuso. Gli si potrebbe dire: caro Sales, non solo non siete riusciti nel vostro compito e non ci siete riusciti perché eravate una classe dirigente divisa, come tu stesso affermi e dimostri ‒ ma ancora speri che ci si possa spogliare dai pregiudizi e dalla cecità di chi aspira al potere per il solo potere? Eppure, non si tratta delle parole di un illuso, né di un perdente. Napoli non è Berlino non solo è un libro importante, ma porta con sé il suono dell'autorevolezza conquistata sul campo. Sales ha cominciato a fare politica a Pagani, una piccola città dell'entroterra vesuviano. È li che si è dovuto da subito misurare con la presenza ingombrante e violenta della camorra. Via via che si è avvicinato al centro della politica, approdando al parlamento e poi svolgendo le funzioni di sottosegretario all'economia del primo governo Prodi, invece di distaccarsi dalle sue origini di provinciale, ci si è attaccato quanto più era possibile. Ha ben presto scoperto che in provincia alcuni fenomeni malavitosi avevano anticipato quel che sarebbe avvenuto a Napoli e altrove. È stato così che, non trovando alleati nello studio e nella conoscenza di questi fenomeni, per sopperire alla mancanza, se n'è fatto studioso lui stesso. Oggi scrive che "il movimento antimafia è stato il più vasto e significativo 'scuotimento' civile di pezzi importanti della società meridionale", paragonabile per importanza alle "lotte contadine e bracciantili dell'immediato dopoguerra, con un carattere interclassista che quelle lotte non avevano avuto". Non è un passaggio da poco. Anche perché consente di mettere in discussione uno dei dogmi del racconto coloniale sul Sud: e cioè la sua immobilità quasi metafisica. Siamo sicuri che sia proprio così? Siamo proprio sicuri che Cristo si continui a fermare a Eboli, che il mare continui a non bagnare Napoli? Se ci si arma di pazienza e di un onesto uso degli strumenti di indagine, si scoprono cose che il racconto pubblico italiano fa fatica a registrare. Sales si ferma a lungo sulla stagione dei sindaci. È bastata una nuova legge elettorale, all'indomani delle inchieste di "mani pulite", per liberare energie sociali e civili che si pensavano inesistenti. Ed è qui che viene in primo piano la figura di Bassolino. Com'è stato possibile, si chiede Sales, che uno stesso uomo sia stato nel giro di due decenni prima il simbolo della "rinascita" di una città e di un territorio e poi quello di ogni possibile nefandezza? Forse sono sbagliate entrambe le descrizioni; o forse c'è qualcosa di non secondario che non torna. Senza risparmiargli le critiche più aspre e senza negargli alcuni meriti oggettivi, il risultato finale consiste nel fatto che Bassolino non è stato all'altezza dell'occasione storica concessagli. E non lo sono stati nemmeno i suoi compagni di partito "nazionali", i cosiddetti eredi di Berlinguer; nessuno, a parere di Sales, paragonabile nemmeno lontanamente al maestro. Tutti, tra l'altro, abitati da un pregiudizio antimeridionale difficile da estirpare. La miscela delle inefficienze locali e di quelle nazionali ha prodotto la dinamite della più tristemente famosa delle "emergenze": quella dei rifiuti. Si tratta di un racconto che non torna; un racconto che metterebbe in difficoltà qualsiasi narratore "realistico" volesse sbrogliarne la matassa. Di santa pazienza, Sales mette sul tavolo anatomico i pezzi sbrindellati di quella vicenda, sapendo bene che deve ancora venire chi metterà un punto fermo al tutto. Interroga esperti, legge libri, disseppellisce sentenze, interpreta stagioni politiche e rispettivi governi, e scopre che è proprio il centrosinistra nel suo complesso a rendere impossibile in quegli anni una soluzione di una tragedia insieme reale e mediatica. Ed eccoci al vicolo cieco nel quale tutti ci troviamo. Mancano le risorse, la burocrazia rende impossibili le intraprese dei privati, i partiti sono tornati a spadroneggiare. Eppure qualcosa si deve pur fare, un varco deve essere possibile, anche quando si è costretti a fargli prendere la forma dell'entusiasmo dell'impossibile, come sostiene Ermanno Rea in La comunista. È qui che si rivela l'importanza per i singoli cittadini di un libro come questo di Sales. Chi lo legge non trova solo un regesto delle rovine, bensì acquisisce la consapevolezza di vivere in luoghi di grande importanza. Uno per tutti: il centro storico di Napoli. Su questo tema dal libro emerge una pagina di grande intelligenza e perspicacia, quando si sottolinea l'importanza decisiva del mercato nel decidere chi debba vivere e operare nei centri storici delle città europee: "La rottura della promiscuità nel cuore delle città europee è uno dei problemi dell'urbanistica contemporanea. A Napoli ciò non è avvenuto, e molti (e io tra questi) ritengono essere questa la grande 'modernità' della metropoli partenopea che avrebbe tanto da insegnare alle altre. Il centro storico di Napoli ti offre da 'vedere' una umanità, delle relazioni sociali e culturali che nessun altro luogo vissuto può darti al mondo". Ma come usare questa ricchezza "umana" e architettonica? Ecco un problema enorme, che non può essere risolto da soli. C'è bisogno dell'aiuto del mondo, e ancor prima dell'aiuto, della sua comprensione. Essere consapevoli di ciò significa mettersi su una strada difficile e fragile, ma che può riaprire la possibilità della politica. Per uno che ha deciso di dimettersi da politico è una bella scommessa, e dà a questo libro un tono nuovo, né lamentoso né recriminatorio; semplicemente il tono di un "radicale tranquillo", come Sales si autodefinisce. Da qui la sua forza conoscitiva, anche per chi non ha mai pensato di fare politica. Viene da pensare a Mistero napoletano di Ermanno Rea. Anche Napoli non è Berlino è un'autobiografia per interposta inchiesta. L'autobiografia di "quelli che ci credono ancora". Silvio Perrella
Leggi di più
Leggi di meno