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Il migliore dei testi che riguardano la prigionia in russia, forse su quella triste esperienza si è scritto poco.Gambetti non porta alcun rancore su quei anni trascorsi in prigionia, un ottima testimonianza. Peccato che il finale lasci un po' vuoti i sentimenti, pochi hanno descritto il ritorno in patria.
Racconto di un giornalista affermato che partì, fascista volontario e soldato semplice, per il fronte russo e fu travolto nella disfatta del Don e nella prigionia. Oggi può sembrare inverosimile la disillusione che provarono del regime e della preparazione militare italiana anche le persone più colte, che avrebbero dovuto essere più disincantate del semplice contadino od operaio che veniva spedito al fronte. In realtà credo che le generazioni successive non possano rendersi pienamente conto di cosa significhi crescere sotto una dittatura, con un’informazione ed un’istruzione completamente pilotata. Le vere notizie dai fronti di guerra venivano accuratamente censurate e manipolate, e sappiamo che questo accadeva ed accade in parte anche oggi, ed anche nei regimi democratici. Giornalista e poeta, il suo libro si arricchisce di espressioni, immagini e riflessioni più elaborate del semplice racconto, ma questo non va a discapito dell’efficacia e della drammaticità. Non c’è acredine né severità di giudizio verso i russi, nel racconto della prigionia, cosa che ho invece trovato nei racconti di altri ufficiali che subirono la stessa sorte e che difficilmente si ritrova nei racconti dei soldati semplici, certo più avvezzi ad accettare e valutare la miseria e la durezza delle condizioni di vita. Gambetti, dopo essere stato fascista, nel dopoguerra ricoprì vari incarichi all’Unità.
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