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Con un'introduzione di Valentina Pisanty, semiologa che da tempo si dedica all'indagine sui costrutti semantici e logici del negazionismo, esce anche in edizione italiana l'acribioso e intenso resoconto di Richard Evans (che insegna storia moderna a Cambridge ed è studioso della Germania contemporanea) sul processo intentato da David Irving contro Deborah Lipstadt. La querelle che si poneva all'origine del contenzioso era stata originata dal tentativo, per parte del primo, di ottenere un risarcimento in sede giudiziale dalla seconda, in ragione di alcune affermazioni che gli erano risultate offensive e denigratorie. Nella sostanza, l'intendimento del libellista londinese era di ottenere una forte attenzione mediatica a favore della "causa" del negazionismo, vale a dire della tesi che sostiene inesistito lo sterminio nazista degli ebrei. Operazione peraltro poi fallita, in ragione della stessa sentenza, risultatagli avversa. Evans, testimone della difesa, chiamato in causa in qualità di perito in grado di fornire un parere indipendente nel merito delle questioni sollevate dinanzi alla corte di Londra, si adopera per più di trecento pagine a confutare asserzioni e motivazioni addotte da Irving. Il testo ha una triplice struttura, costituita da livelli tra di loro distinti, ma anche costantemente intersecati: vi è infatti una dimensione più strettamente narrativa, dove si dà conto dell'evoluzione delle ricerche sui negazionisti e sulla vicenda processuale; un elemento metodologico, con il quale si mettono a nudo le procedure di falsificazione adottate da Irving; infine, una riflessione sulle interconnessioni tra storiografia e giustizia, sia penale e civile che morale.
Claudio Vercelli
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