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Anno edizione: 2009
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Per un artista presente ormai da diversi decenni, che ha sempre sfornato dischi senza tregua e che vanta una carriera poliedrica, divisa tra album solisti, Buffalo Springfield ed incisioni con Crosby Still & Nash, non è raro imbattersi in ricorrenze od anniversari. Meno frequente invece ricordare, celebrare sarebbe eccessivo a dir il vero, il primo omonimo album del canadese, immerso nella pletora di lavori distinti tra capolavori, dischi curiosi , tonfi clamorosi o album ordinari. Raramente infatti questo album pubblicato il 12 novembre 1968 viene citato, perso nella fitta discografia di Neil Young e che viene per lo più ricordato proprio per il fatto di essere il primo di una lunghissima serie. Non è da poco però che codesto lavoro abbia l’onore di inaugurare il suo percorso solista, anche se più spesso sembra pagarne l’onere. Un lavoro che generalmente, ed alla cui opinione critica mi accodo, viene considerato interlocutorio ed acerbo ma sicuramente non anonimo (forse al netto della poco rappresentativa copertina). Come molti degli esordi di future stelle del firmamento rock , il disco in questione contiene in nuce le caratteristiche dell’artista e lascia intravedere lo splendore dei futuri capolavori. Di “zampate” il disco ne contiene e getta le basi per futuri classici (valgano a testimonianza di ciò tutoli come “The Loner” o “The last trip to Tulsa”), ma spesso l’ingombrante presenza di pomposi arrangiamenti ne appesantisce l’ascolto, quando forse trame sonore più scarne ne avrebbero agevolato l’economia generale. Nonostante ciò gli ingredienti dell'arte younghiana si fanno sentire e l’ascolto procede tra melanconici squarci country, inquieti quadretti folk ed il tipico chitarrismo bruciante (sebbene la compagine dei Crazy Horse non sia ancora presente
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