Nemesi
Philip Roth
- EAN: 9788806218041
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Recensioni dei clienti
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non so che tipo di ateo sia Carlo (forse un ateo che non sa che esistono i non atei?), ma i discorsi sulla religione sono una delle cose che io, ateo, ho più apprezzato di questo libro, altro che illogici e puerili! sono quei discorsi che ogni ateo dovrebbe fare con i credenti di sua conoscenza per capire come è possibile che degli esseri dotati di raziocinio possano credere che il dio che ha creato la sofferenza sia un Dio di Amore! (anche) per il resto, bellissimo libro!
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Trovo strepitoso e perfino commovente, l'atto con cui Roth ha concluso la sua carriera di narratore. Un romanzo nel quale si intrecciano due componenti classiche della grande letteratura di ogni tempo: la maledizione che colpisce gli innocenti e l'interrogativo alla base della teodicea. Lo scenario su cui si scatena la maledizione comincia con le forme della piaga biblica e un po' per volta si contrae in tormento interiore; i monologhi e i dialoghi che ospitano l'eterno interrogativo della teodicea («Si Deus est, unde malum?») esaltano la drammaticità del suo oggetto perché, come spesso accade, il giusto non è sicuro di essere giusto ma è convinto che gli innocenti (i bambini) siano davvero innocenti. Ma è il narratore a fornire l'unica risposta ragionevole e sensata, nonostante la sua ovvia insufficienza: «A volte si è fortunati e a volte non lo si è. Ogni biografia è guidata dal caso e, a partire dal concepimento, la tirannia della contingenza è tutto» (cap. III). Tuttavia, che pagine sublimi sono quelle conclusive, nelle quali Arnie svela al lettore le ragioni più intime in virtù delle quali il protagonista, Bucky, era diventato un dio semitico agli occhi di un'intera generazione di ragazzini di Newark! Pagine meravigliose, intensissime, commoventi; che, partendo da uno spunto biografico riguardante l'infanzia dell'amica di sempre Mia Farrow, solo un gigante come Philip Roth era in grado di realizzare con tale perfezione.
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Parteggio per questo libro innanzitutto per una ragione sociale. In un periodo in cui con troppa leggerezza si demonizzano le vaccinazioni, consiglio caldamente di farsi un viaggetto nell'America della polio 1944 e poi ripensare ai cosidetti 'danni delle vaccinazioni'. Detto ciò, non consiglio questo libro a cuor leggero perchè è un libro durissimo, forse mi sono immedesimata fin troppo nel protagonista, mi ha lasciato un magone fra stomaco e gola. E' ben scritto, ma troppo amaro e non vado oltre 3 stelle. Però leggetelo e diffondete una corretta cultura.
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Il profilo che si trae attraverso la lettura dell'intera storia è quello di un ragazzo il cui destino risulta essere del tutto estraneo al significato del suo nome Eugenio:Nato bene. Dai suoi compagni viene chiamato Asso non solo per la sua destrezza nelle attività sportive, ma anche perchè affidabile,protettivo,eroico.Rimasto orfano di madre fin dalla nascita, viene educato e formato dai nonni materni;il nonno gli attribuisce per le sue competenze e le sue energie fisiche il nickname Bucky avente come significato ostinatezza, grande forza di volontà .Bucky, divenuto insegnante di educazione fisica, intende trasmettere ai ragazzi del campo, di cui è animatore, tutti quei valori in cui egli crede tra cui la capacità di lottare difronte alle avversità della vita.Ad un certo punto, però, egli stesso si trova a gestire una delicata e difficile pestilenza che incombe sui suoi ragazzi e, l'impotenza del suo agire nel voler arginare il male, lo inducono ad imputare Dio la causa della malattia e della morte.Vive un lungo periodo di grande conflitto interiore nel momento in cui decide di lasciare il campo e i suoi ragazzi per raggiungere il luogo felice"Indian Ill"dove vive il suo amore e dove regnano la pace, la salute,il lavoro, la bellezza, ma una volta raggiunto l'Eden viene colpito anch'egli dalla polio diventando così un rifiuto indifferenziato, irrecuperabile. Tutto ciò accade indipendentemente dalla propria volontà.Caduto nella trappola della malattia rientra nella sua terra natia, teatro della sua rovina per occupare un posto di lavoro adeguato alla sua condizione.Consapevole della sua invalidità allontana da sè anche il suo grande amore.Grandi i sensi di colpa per il grave disastro abbattutosi sui luoghi da lui frequentati.Entra in astio con Dio attribuendogli la colpa di aver fatto morire la mamma,di avergli dato un padre ladro,e di essere diventato portatore di morte.Punizione vendetta e giustizia sono caduti su di lui, un eroico,esplosivo, invincibile ragazzo.
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Ho rilevato un piccolo errore di P.R., di solito (credo) molto preciso,a pag.139 dell'edizione NumeriPrimi. Mr Blomback nel riassumere ai ragazzi del Campo Indiano le ultime novità sulla guerra, dice: "...In Italia, l'esercito britannico ha valicato la linea del fiume Arno e ha occupato Firenze". Ma la scena nel Campo si svolge nel luglio e Firenze è stata liberata attorno al 10 agosto! Corretto sarebbe stato citare lo sbarco degli alleati in Sicilia, avvenuto giusto un mese prima.
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Trovo strepitoso e perfino commovente, l'atto con cui Roth ha concluso la sua carriera di narratore. Un romanzo nel quale si intrecciano due componenti classiche della grande letteratura di ogni tempo: la maledizione che colpisce gli innocenti e l'interrogativo alla base della teodicea. Lo scenario su cui si scatena la maledizione comincia con le forme della piaga biblica e un po' per volta si contrae in tormento interiore; i monologhi e i dialoghi che ospitano l'eterno interrogativo della teodicea («Si Deus est, unde malum?») esaltano la drammaticità del suo oggetto perché, come spesso accade, il giusto non è sicuro di essere giusto ma è convinto che gli innocenti (i bambini) siano davvero innocenti. Ma è il narratore a fornire l'unica risposta ragionevole e sensata, nonostante la sua ovvia insufficienza: «A volte si è fortunati e a volte non lo si è. Ogni biografia è guidata dal caso e, a partire dal concepimento, la tirannia della contingenza è tutto» (cap. III). Tuttavia, che pagine sublimi sono quelle conclusive, nelle quali Arnie svela al lettore le ragioni più intime in virtù delle quali il protagonista, Bucky, era diventato un dio semitico agli occhi di un'intera generazione di ragazzini di Newark! Pagine meravigliose, intensissime, commoventi, che solo un gigante come Philip Roth era in grado di realizzare con tale perfezione.
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Visto nel suo insieme il libro è piacevole, ma certi discorsi banali e senza senso sulla religione, specialmente nel finale, rovinano il libro, perlomeno a chi è ateo e trova quindi illogiche e puerili questi discorsi.
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Un libro meraviglioso che solo Philip Roth poteva scrivere. Racconta in modo magistrale come a volte nella vita le persone rinuncino a vivere per colpa della sfortuna o del caso. Consigliatissimo a tutti!!!!
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Un libro perfetto. Non una parola di troppo, non una mancante. Musica per il lettore, ritmo che cambia con l'evolversi della storia e dei sentimenti. Un pittore non avrebbe potuto fare meglio per farci vedere Bucky Cantor ed il suo mondo.
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una piacevole certezza: quando Roth scrive qualcosa, è oro... Il libro affronta un tema che è tanto irrimediabilmente presente nella nostra vita da non essere quasi mai considerato dal punto di vista della riflessione intellettuale: la sfortuna, il destino avverso, l'accadere di un fatto che segna tragicamente tutta la nostra esistenza. un libro che rende persone più consapevoli della propria vita.
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Leggere i romanzi di Roth, per me, è sempre una esperienza coinvolgente. In alcuni passaggi, aspettavo con il mal di stomaco di sapere, vedere, capire cosa sarebbe successo. Nulla lasciato al caso, tutto orchestrato alla perfezione. Un grande romanzo.
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Romanzo straordinario. Il contrasto tra lo stile asciutto sostanzialmente semplice e la pulsione quasi violenta delle emozioni descritte è avvincente e irresistibile. Il protagonista si affianca al lettore in ogni pagina e si arriva a soffrire e riflettere secondo le sue reazioni, senza giudicarlo, soltanto pienamente comprendendolo. Il contesto yiddish e l'atmosfera anni Quaranta fanno il resto: la potenza narrativa è tale che, come spesso accade quando si ha la fortuna di imbattersi in capolavori letterari fortemente imaginifici, si ha la sensazione di gustarsi un capolavoro cinematografico. Eccellente, imperdibile, profondamente toccante.
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...un romanzo magistrale e terrificante, ti si insinua irrimediabilmente nell'anima senza darti scampo, come il virus protagonista del romanzo... Un romanzo che è un'esperienza.
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Ingredienti: un animatore sportivo idolo dei suoi ragazzi, una partita da giocare non più contro gli allegri compagni-avversari del campo giochi ma contro un nemico più drammatico e crudele (poliomielite), un futuro radioso e vitale che farà scivolare indietro nel passato, come il masso di Sisifo, tutta la sua vitalità e splendore. Consigliato: a chi pensa che Dio sia la causa del bene del mondo (e del male?), a chi vive chiedendosi il perché del proprio destino.
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Un libro notevole e non poteva essere diversamente per Roth. La forza di questo autore è la semplicità della scrittura che rende tutto chiaro, comprensibile e chiaro. La sofferenza che trasuda da queste pagine contagia il lettore. Ho amato Roth di "Pastorale Americana" e "Patrimonio", da oggi lo amerò anche per Nemesi. La sofferenza dell'uomo solo con se stesso e con la malattia è simile a quella di "Patrimonio". Anche in quest'ultimo Roth descrivendo il tumore del padre patisce lui stesso vedendo spegnersi il suo caro; in Nemesi il protagonista soffre per la malattia di chi gli sta vicino e poi, forse meno, per se stesso. Una grande prova!
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Finalmente ho iniziato a leggere Roth. Forse sarebbe stato più corretto tuffarsi subito nel meglio del meglio, per esempio "Pastorale americana"; ma anche questa lettura è stata una grande esperienza. La scrittura all'inizio mi ha un po' disorientata: sapendo di trovarmi davanti ad un mostro sacro, mi aspettavo virtuosismi stilistici ed effetti speciali ad ogni piè sospinto. Invece lo stile è sobrio, asciutto. Ma poi, procedendo, ho capito che questo è funzionale al racconto, che il rigore è una forma di bellezza estrema, probabilmente tra le più difficili da raggiungere. Del resto, se hai una storia terribile da raccontare, e sai come raccontarla, non hai bisogno di gridare per farti sentire. Dalla prima pagina all'ultima la struttura di ogni scena,di ogni dialogo è millimetricamente perfetta, ogni frase è netta, pulita, limpida; risplende e taglia come una lama di ghiaccio. E' un genere di bellezza che cogli adagio, ma poi cresce sempre più, lento e implacabile. Ed è una bellezza che fa male, tanto; come la storia di una sconfitta definitiva, di un uomo ridotto in briciole dalla vita. Un uomo che ha creduto che disciplina, rigore, dedizione, ricerca di perfezione servissero a qualcosa, ma si rende conto a sue spese che niente è sotto controllo e la forza umana -del corpo e del cuore- anche esercitata e coltivata per una vita è un nulla risibile, povero e patetico. Riflessione in margine: coloro che si oppongono alle vaccinazioni infantili obbligatorie,in particolare a quella contro la polio, dovrebbero assolutamente leggere questo romanzo. Perchè ci siamo dimenticati (io per prima) l'atrocità insostenibile di una malattia che in due giorni trasformava una vita in un incubo ad occhi aperti, un bambino curioso e felice o un giovane appassionato di sport e promessa dell'atletica in una larva umana, paralizzata dal collo in giù, neanche più in grado di respirare, condannata per la vita a guardare un soffitto, imprigionata immobile dentro un cilindro d'acciaio.
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L'ho trovato ripetitivo all'inverosimile. Non mi ha trasmesso alcuna emozione.È riuscito a rendere noiosa una fetta di storia nella storia. Non mi ha coinvolto minimamente e lo dico io che sono una pesciolina che ha sempre le lacrime in tasca.
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Philip scrive da dio, Philip fa ridere (leggere a ca. 10 pagine dalla fine il rovente - indiretto - giudizio su Dio). Philip fa piangere (Horace), Philip avvince, Philip è sensuale, ma in maniera assolutamente diversa rispetto al se stesso del Teatro o di altri romanzi. Philipp ogni tanto rallenta il ritmo, ma è probabilmente il più grande scrittore vivente, e non ha bisogno di spendere pagine con il pilota automatico per risultare, sì insomma...superiore
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Come al solito Roth mi da ai nervi oltre ogni modo e come sempre alla fine dei suoi libri mi porto dentro qualcosa che prima non avevo. Roth ripete gli stessi concetti all'inverosimile, per metà del libro scrive continuamente lo stesso pensiero, di come cioè il protagonista soffra del suo senso di colpa per non essere migliore di ciò che è. Rothe se la prende con Dio e non si da ragione del perchè Lui possa permettere tanta sofferenza.Due, forse tre pensieri ripetuti in modo ossessivo e ipnotico. Questo è Roth, che lo si voglia o no, un grande scrittore capace di tenerti inchiodato su una poltrona con lo stomaco contratto per ore, mentre gira e rigira parole come un coltello in una ferita. Avanti il prossimo, non posso perdermi un'altro straordinario supplizio.
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Libro decisamente toccante, pieno di spunti di riflessione!
43 recensioni