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Anno edizione: 2016
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Non ci siamo assolutamente. non mi stupisco dei premi vinti che molto spesso sono garanzie di pessime idee; mentre mi stupisco di come possa essere apprezzato da qualcuno. fantasia zero, sia narrativa sia strutturale sia proprio dell'idea stessa. assolutamente da evitare, preferite mille volte un classico di cui magari sapete già la trama. questo "libroide" non vi dirà assolutamente niente di nuovo di quanto non sapete; a parte abbozzare una noiosa descrizione di un mondo che l'autore si sforza di voler colorare di tenebroso ma che è una copia sbiadita della realtà ben più cruda. per chi ha gli occhi aperti sul Mondo è completamente da sbadigli. qualcuno ha detto che è un libro difficile... Dostoevskij è difficile, Kundera è difficile, Eco è difficile... questo è solo difficile finirlo.
Leggo prevalentemente narrativa ormai da circa quarant'anni e, per giudicare un romanzo, rimango fedele a pochi e incrollabili principi; il primo è che il valore deve stare dentro l'opera, non fuori. In altre parole: prima il mezzo, poi il messaggio. Se il primo è scadente, probabilmente lo è anche il secondo. Non si fa perciò un buon servizio a Sansal se si parla di 2084 solo in termini "politici", perché prima di tutto questo è un romanzo, ed è ben scritto, con squarci narrativi potentissimi, in uno stile, che procede a passo lento e coerente con ciò che dice, dal tono cupo e privo di speranza. Cede un po' solo nel finale (l'epilogo mi è parso forzato e ridondante), ma si tratta di pelo nell'uovo a fronte dell'evidente angoscia che anima l'autore nel lanciare questo disperato grido d'allarme per un possibile (probabile?) futuro in cui dignità umana e libertà saranno calpestate da una dittatura politico religiosa, di evidente assonanza con l'islam politico, i cui esponenti sono già tra noi. La speranza è che voci come quella di Sansal, persona coraggiosa e dal pensiero libero, non si spengano nell'indifferenza generale e finiscano per far capire i pericoli all'orizzonte. ...purtroppo, però, nessuno di mia conoscenza ha letto o anche solo sentito parlare di 2084, il che non mi pare un segnale incoraggiante.
Libro per certi versi inquietante nel descrivere un mondo soggiogato ad una dittatura religiosa pseudo-islamica (ma quando parla di certi oscurantismi si può benissimo estendere a qualsiasi religione) che può sembrare fantascientifico ma che in realtà, come dimostra bene la nostra espoca, non è poi così inverosimile...a tratti un pò lento è però un libro dal sicuro impatto...
Recensioni
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La Guerra Santa contro i “propagandisti della Grande Miscredenza” è stata sanguinosa e terribile. Nell’Abistan, impero nato da questo epico scontro nel nome di Yölah, la quotidianità scorre ora nell’apatica adesione alle rigide regole imposte dall’Apparato e dai dignitari della Giusta Fraternità. Nulla viene lasciato al caso dal regime teocratico che con la sua azione capillare controlla la vita degli abitanti. (…). 2084 (il titolo è un evidente richiamo alla distopia orwelliana come del resto lo è tutto il libro) è per Sansal una scelta funzionale all’urgenza del monito che intende inviare alla società occidentale sulla scia di Houellebecq, che in un’intervista ha definito il libro “molto più duro del mio Sottomissione”: tracciando un orizzonte temporale non poi così remoto, Sansal immagina con toni apocalittici, a tratti asfissianti, lo scenario cupo di un mondo dominato dal fondamentalismo islamico. Attraverso il risveglio del protagonista Ati, Sansal svela uno dopo l’altro per scardinarli i meccanismi e le mistificazioni del totalitarismo teocratico (…).
L’uscita del libro in Francia nel 2015 ha coinciso con gli attentati che hanno colpito il paese. La sua risonanza è stata amplificata dalle prese di posizione forti dello scrittore algerino: “Date un nome al nemico, date un nome al male” ha scritto nel marzo di quest’anno su “Le Monde” “Se alle autorità mancano le parole, posso prestare le mie: l’Islam radicale, l’Islam moderato come suo sostegno, il salafismo, l’Arabia, il Qatar, le dittature arabe”. Prese di posizione che non hanno mancato di suscitare reazioni opposte, dall’accusa di islamofobia al plauso per la denuncia delle derive dell’islamismo radicale da parte di chi ha conosciuto in prima persona il Gia. Quello che emerge indiscutibilmente dal romanzo è l’invito a prendere coscienza, a reagire, ed è questa la sua forza.
Il viaggio di Ati sulle tracce di Nas, un funzionario misteriosamente scomparso, non potrà che rivelarsi un percorso ricco di insidie. Sarà grazie alla visita di un museo del XX secolo creato clandestinamente che Ati troverà il senso della sua ricerca. Il viaggio in quel passato ignorato perché cancellato con determinazione dall’Apparato non farà che confermare in lui l’intuizione dell’esistenza di un altrove. Occupando tutti gli spazi possibili, fisici e mentali, l’Apparato ha instillato la negazione dell’esistenza della pluralità di pensiero, di lingua e di credo. Ma se la frontiera esiste davvero, nel tempo e nello spazio, la strada è tracciata per uscire dalla prigionia del fanatismo totalitario.
Recensione di Luisa Gerini
Romanzo vincitore del Gran Prix du roman de l'Academie francaise.
Ispirato alla celebre opera di George Orwell 1984, 2084. La fine del mondo, narra di un mondo futuro dove tutti gli incubi del presente sembrano realizzati nella forma di una terribile teocrazia totalitaria.
«2084. La fine del mondo è molto più feroce del mio Sottomissione.»
- Michel Houellebecq
«Abbiamo sottovaluto la minaccia dell'islam radicale e oggi è ormai troppo tardi.» -
Fabio Gambaro
«La fine del mondo è una profezia orwelliana che descrive un mondo futuro dove gli incubi di questi mesi si concretizzano in una feroce teocrazia totalitaria, il regno di Abistan». - Francesca Paci, La Stampa
«Un romanzo angosciosamente fantapolitico». - Filippo la Porta, Il Messaggero
«È il Grande fratello di Orwell, un secolo dopo, islamico». - Eleonora Barbieri, il Giornale
«Il lettore è catapultato in un’utopia negativa degna del 1984 di Orwell». - Daniele Zappalà, Avvenire
«Nel mondo descritto in “2084” il tempo sembra essersi fermato». - Guido Caldiron, il Manifesto
«I nostri incubi e i nostri problemi concreti diventati unica realtà nello Stato islamista di Sansal non sono molto diversi da quelli su cui ci tocca riflettere fuori dal romanzo». - Nadia Terranova, Idee e Lifestyle del Sole 24 ORE
Una notte si sorprese a mormorare sotto la coperta. I suoni uscivano da soli, come forzando il passaggio fra le labbra serrate. Si irrigidì, attanagliato dalla paura, poi si rilassò e tese l’orecchio a quelle parole. Lo attraversò una scarica elettrica. Gli mancava il respiro, si udiva ripetere la parola che lo affascinava, che non aveva mai usato, che non conosceva, ne singhiozzava le sillabe: «Li… ber…tà…».
A perdita d’occhio si vede solo una terra, l’Abistan: un paesaggio desolato, incommensurabile, che ricopre quasi buona parte del globo, attraversata solo da carovane di pellegrini privilegiati, da malati trasportati sull’eremo di una montagna, da soldati che controllano ogni spostamento territoriale. Una terra tanto arida, tanto paurosa, quanto purificata, consacrata alla verità, una terra controllata perennemente dallo sguardo univoco di Dio, l’Onnipotente Yölah, e di Abi, il suo Delegato in terra. La pace regna sovrana in questo Paese, una pace nuova, dopo immemorabili anni di guerra – che ormai nessuno ricorda più, la storia è stata riscritta – una pace anestetizzata, impressa direttamente nella scatola cranica di un popolo di fedeli, omologato a un solo credo: «Yölah è giusto, Yölah è paziente, Yölah è grande, Yölah ti sostiene».
Tutto è stato riscritto e rinominato, sepolto nella palude melmosa di uno spazio-tempo sconosciuto e che non può nemmeno essere pensato. Persino la lingua è stata riscritta: l’abilang è l’idioma giusto e retto, ridotto a un lessico strettamente religioso, non permette lontanamente di rinominarlo quel passato blasfemo, ma schematizza la vita in rigidi sistemi di pensiero, impedendo qualunque ragionamento coerente, schiacciando l’immaginazione in anguste categorie prive di conoscenza e di percezione. Rimane qualche brandello, qualche lembo amputato di reminiscenze negli anziani. Giustificati con i deliri della demenza.
Ma non appena si esce da questa società ben incastrata nei doveri religiosi e nella narcosi delle coscienze, ecco che alcuni pericolosissimi semi possono nascere nella coscienza di un uomo: i semi del dubbio, della ragione, del raziocinio umano. Ati è il protagonista che Sansal Boualem plasma seguendo l’ombra dell’impiegato del Ministero della Verità, Winston Smith, il personaggio orwelliano di 1984. Ati – il suo nome ricalca il gergo delle banlieue, cioè ateo, miscredente – è stato portato sulla montagna dell’Ouâ, ai confini dell’Impero, un sanatorio dove i malati, emarginati dalla società perché pericolosi nei loro deliri, vengono curati. In preda alle febbri della tubercolosi, Abi vive fuori dalla scansione religiosa e riscopre la capacità di pensare: cosa c’era prima di tutto questo? Perché esistono dei Confini se l’Abistan occupa tutto il mondo? Perché si mormora di misteriose guerre al di là di questi Confini, e con chi?
In Ati nasce qualcosa che spazza via la malattia, riempie i suoi occhi di una strana speranza e la sua gola di una parola che non può essere pronunciata, una parola che non esiste e di cui nessuno conosce il significato: libertà.
Sansal Boualem rivisita il romanzo dispotico di George Orwell e, cento anni dopo 1984, traspone la storia contemporanea occidentale in una proiezione che, con il nome di Abistan, ricalca il territorio dell’Is coinvolgendo l’Europa in un unico grande impero del futuro, strutturato su un regime teocratico. Ma il canovaccio di Orwell è solo un calco per Sansal: le categorie sono le stesse di 1984, ma la proiezione è verso un mondo nuovo, tetro e angosciante, nell’immensità di quei territori aridi, distrutti e disabitati, una tabula rasa di ogni congregazione umana, via arte, musica, natura, libri, storia, poesia, tradizioni, lingua, sentimenti spontanei. Un regno-proiezione dell’Islam dove Abi rappresenta il delegato di dio in terra (Maometto), e Yölah l’unico giusto dio, in un’assonanza immediata.
Osa pericolosamente Sansal in questo mondo distopico. Una società non troppo immaginaria, non troppo fittizia, in attesa di un pericoloso colpo di sterzo della storia…
Il linguaggio apocalittico di Sansal trascina nel buco nero dei suoi luoghi immaginari, e i toni apocalittici non ci proiettano in un futuro difficile da decifrare o dissimile dal nostro, ma piuttosto attingono a un passato remoto restituendoci sapori arcaici e fin troppo conosciuti, tinte medievali che riportano alla mente le guerre sante dei nostri antenati. Attraverso il filtro di una visione allucinata, Sansal Boualem critica aspramente la società e la politica attuali, in un’opera paranoica che riflette tutto il vaneggiare tipico di ogni fanatismo.
A cura di Wuz.it
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