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Anno edizione: 2009
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recensione di Bonola, M., L'Indice 1996, n. 8
Dall'esilio americano Henrich Mann pubblicava, proprio sul finire degli anni trenta, un breve testo dedicato a Nietzsche, nel quale sembra di poter leggere l'epilogo sintetico di un decennio decisivo per la storia della comprensione di questo autore. Dopo aver notato infatti che "non solo il suo nobile esempio, ma anche ciò che era sbagliato e atroce della sua dottrina" aveva continuato a crescere anche dopo la morte del pensatore, Mann ribadiva la necessità imprescindibile di tornare a confrontarsi con questo genio tedesco. Un analogo parere muove anche l'attenzione di Jaspers verso Nietzsche, nella convinzione che "il contenuto della sua vita e del suo pensiero è di una tale grandezza, che chi riesce a prendervi parte è al riparo da quegli errori che in qualche circostanza Nietzsche stesso ha commesso". Gli anni trenta avevano rappresentato in effetti il grande momento della scoperta filosofica di Nietzsche, ben al di là di ogni parziale lettura politica e ideologica del suo pensiero. Il testo di Jaspers (1936), il cui embrione è costituito da lezioni del 1934-35, si inserisce quindi in una cornice assai definita: essa è delimitata, per un verso, dalle opere di Bäumler (1931) e Löwith (1935), e dall'altro dalla possente mole delle lezioni di Heidegger (1936-40), con il quale Jaspers intrattenne fino alla metà del decennio intensissimi rapporti di amicizia e di dialogo intellettuale. Ma mentre nell'opera di Heidegger, pubblicata poi soltanto nel 1951, gli aspetti biografici scompaiono completamente, Jaspers pone alla base della sua interpretazione l'intimo nesso di vita e pensiero, un nesso che coinvolge interamente il nostro modo di rapportarci a Nietzsche, perché tocca il fulcro dell'esperienza filosofica di questo autore.
Se inoltre, nelle angustie del tempo, l'intento dichiarato di queste lezioni è di scendere nell'arena della controversia politica sul Nietzsche nazificato, al fine "di opporre ai nazionalsocialisti proprio l'orizzonte di pensiero di quel filosofo a cui essi dichiaravano di ispirarsi", la radice filosofica dell'interpretazione di Jaspers va però ricercata ancor più a monte, negli illuminanti cenni di Dilthey. Proprio quest'ultimo, infatti, in un suo saggio del 1907, aveva segnalato la rilevanza filosofica, allora assai flebile, della Lebensphilosophie di Nietzsche, intendendola come una filosofia esistenziale che rinuncia alla fondazione metafisica e sistematica del senso della vita, cercando invece di risolvere l'enigma dell'esistenza sulle sue sole basi, all'interno cioè dell'esperienza e del vissuto. Essa si allontanerebbe così sia dai modelli della tradizione razionalistica e metafisica moderna (ad esempio l'idealismo), sia dal recente richiamo fenomenologico alla filosofia come "scienza rigorosa". Ma ciò che Jaspers persegue, anche sulle orme di Dilthey, non è tanto uno schematismo storiografico, quanto l'idea dell'unità di vita e spirito, di vissuto e di conoscenza, che gli appare l'autentica sostanza della ricerca di Nietzsche, la cifra sublime e insieme tragica della sua avventura filosofica. È in fondo il recupero, in prospettiva esistenziale, della domanda radicale sulla vivibilità dell'esperienza filosofica.
In questa prospettiva, dopo aver trattato nella prima parte la vita (e la malattia) del grande pensatore dionisiaco, "colui che è forse a tutt'oggi l'ultimo grande filosofo", Jaspers affronta, analogamente a quanto farà poi anche Heidegger, concetti fondamentali del pensiero nietzscheano: l'uomo, la verità, la storia, la politica, il mondo, dedicando a ciascuno analisi assai profonde e penetranti. Assai interessanti ci sembrano, alla luce degli sviluppi successivi dell'ontologia ermeneutica, le pagine dedicate all'interpretazione e al mondo come essere-interpretato; altrettanto dense e pregnanti quelle dedicate alla passione di Nietzsche per la verità, una passione dissolutrice che disgrega la stessa nozione di ragione.
Ma il filo conduttore di fondo rimane quello esistenziale desunto dalla testimonianza dell'autore stesso: "Ho sempre scritto i miei libri con tutto il mio corpo e tutta la mia vita". Si tratta di una testimonianza insieme tragica ed epica, vissuta sulla propria pelle, nel tentativo di fare della vita un esperimento estremo per sanare la suprema contraddizione, quella appunto tra la vita che non conosce e la conoscenza che non vive. Per questo, nelle pagine più belle del libro di Jaspers, spesso intessute di un'enfasi forse oggi eccessiva, l'opera di Nietzsche viene accostata a un experimentum mundi che coniuga il sacrificio di sé e l'abbandono di ogni certezza: essa richiama un edificio in costruzione, incompiuto, che crollò quando l'autore stesso si accinse a erigerlo; oppure un "essere-in-cammino" che non può fermarsi in nessun luogo. Una metafora questa che certo sarebbe piaciuta anche a Heidegger, in sintonia con molte pagine delle sue lezioni su Nietzsche. Peccato che, proprio dal 1935, e per le note ragioni, i due non si scambieranno più una riga, per quasi dieci anni.
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