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(seconda parte della recensione) Perché, allora, questo giornalista oggi quasi dimenticato, merita un libro come quello che gli ha dedicato Roberto Alfatti Appetiti? Perché, ci piaccia o meno, la ribellione del cialtrone è l’unica forma di ribellione che noi italiani sappiamo porre in essere e perché, pur non rispettando le regole (anzi, proprio perché non le rispettava) Nino Longobardi era un grande giornalista. La sua prosa, come dice Emiliani, era “deliziosa”, la sua fantasia partenopea – che gli consentiva di lavorare meno – sempre fulgida ed immaginifica, le sue battaglie sempre controcorrente e politicamente non corrette. Nel suo piccolo era pertanto un eroe e, in questo momento in cui il giornalismo muore affogando in un mare di conformismo burocratico, la testimonianza di Alfatti Appetiti ci appare non solo corretta ma doverosa.
Il termine “cialtrone” in italiano viene spesso inteso in una accezione affettuosa e complice che trasforma l’epiteto in una sorta di implicito complimento. Non so perché questo accada. Ipotizzo che un popolo che, come quello italiano, ha avuto la sventura di dover sopportare numerosi governi dispotici (non sempre stranieri), abbia dovuto necessariamente far crescere nel proprio intimo una sorta di resistenza passiva basata su di un accidioso e sarcastico menefreghismo. In Italia, scriveva qualcuno, l’ingiustizia delle leggi è mitigata dalla loro inosservanza e, aggiungerei io, la pochezza e l’arroganza della classe dirigente è vanificata dal sagace scherno degli intellettuali “cialtroni”. Questo ruolo è certamente riconoscibile a Nino Longobardi che, probabilmente, non fu affatto un “Re del giornalismo” , come incautamente lo definisce il sottotitolo ma indubbiamente uno sbeffeggiatore di luoghi comuni, un irregolare all’attacco del conformismo, un critico feroce ed indomabile che riteneva se stesso incompatibile in un ambiente di leccapiedi. Ilò personaggio, diciamolo subito, non era simpatico. Nel senso che non era certamente l’uomo che avreste fatto sposare a vostra figlia. Giocatore incallito, fumatore compulsivo capace di intossicare una intera redazione, debitore seriale (al punto che i tassisti romani evitavano di rispondere alle sue chiamate e lui era costretto ad uscire dal retro per non essere intercettato da persone a cui doveva denaro). Anche come professionista la sua condotta avrebbe potuto suscitare non oche perplessità: invece di andare sul posto (ad esempio, a Tuscania dopo il terremoto che colpì quella cittadina) si fermava in un bar di periferia a dettare al telefono un pezzo straziante e coinvolgente ma ovviamente assolutamente inventato. Caratterialmente poi era una “primadonna”, “un curioso incrocio” come scrisse Veneziani “tra uno sceriffo e un guappo”. (continua)
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