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I destini di tre uomini in un mondo dove solo gli spietati sopravvivono e dove si può scegliere soltanto «in quale ordine abbandonare la propria vita».
Nel Texas di oggi, lungo il confine con il Messico, si incrociano i destini di tre uomini. Uno di loro sta fuggendo con una borsa piena di soldi, gli altri due lo inseguono. Llewelyn Moss, un reduce del Vietnam, si è ritrovato sul luogo affollato di cadaveri di una battaglia fra narcotrafficanti e ha colto al volo un'occasione troppo grande per lui. Sulle sue tracce si muovono Anton Chigurh, un assassino psicopatico con una pericolosa filosofia della giustizia, e lo sceriffo Bell, un uomo del passato che non sa farsi una ragione della ferocia del presente. Il destino di Moss dipende da quale dei due inseguitori lo troverà per primo. Un romanzo crudo e implacabile come una premonizione di tragedia, che riporta il lettore in quei paesaggi del Sudest degli Stati Uniti dove i vecchi valori hanno ceduto il passo a una violenza cieca e incontrollata. Dove vivono uomini che, «se uno li ammazzasse tutti, toccherebbe costruire una dépendance dell'inferno».
"[...] La gente si lamenta sempre delle cose brutte che gli capitano senza che se le sia meritate ma non parla mai delle cose belle. Di cosa ha fatto per meritarle. Io non ricordo di aver mai dato a nostro Signore motivi particolari per sorridermi. Però lui mi ha sorriso" (tratto pag. 74). "[...] E non ho mai avuto dubbi su quello che dovevo fare nella vita. Al giorno d'oggi se ti metti a fare discorsi su cos'è giusto e cos'è sbagliato la gente spesso e volentieri si mette a ridere. Ma io su certe cose non ho mai avuto tanti dubbi. Nelle mie idee su certe cose. E spero di non averne mai [...]" (pag. 129). "[...] i guai cominciano quando si inizia a passare sopra alla maleducazione. Quando non si sente più dire Grazie e Per favore, vuol dire che la fine è vicina [...]" (pag. 247). Sono tante le frasi come queste che McCarthy ci regala in questo romanzo e la loro bellezza risiede nel fatto che hanno un sapore di altri tempi e, come l'acciaio di Toledo, penetrano la corazza del politicamente corretto che possiede ogni lettore assuefatto alle tendenze dominanti (mainstream) del nostro tempo. Un romanzo che mi piace definire "reazionario", con personaggi caratterizzati sapientemente. Mi è piaciuto.
"[...] La gente si lamenta sempre delle cose brutte che gli capitano senza che se le sia meritate ma non parla mai delle cose belle. Di cosa ha fatto per meritarle. Io non ricordo di aver mai dato a nostro Signore motivi particolari per sorridermi. Però lui mi ha sorriso" (tratto pag. 74). "[...] E non ho mai avuto dubbi su quello che dovevo fare nella vita. Al giorno d'oggi se ti metti a fare discorsi su cos'è giusto e cos'è sbagliato la gente spesso e volentieri si mette a ridere. Ma io su certe cose non ho mai avuto tanti dubbi. Nelle mie idee su certe cose. E spero di non averne mai [...]" (pag. 129). "[...] i guai cominciano quando si inizia a passare sopra alla maleducazione. Quando non si sente più dire Grazie e Per favore, vuol dire che la fine è vicina [...]" (pag. 247). Sono tante le frasi come queste che McCarthy ci regala in questo romanzo e la loro bellezza risiede nel fatto che hanno un sapore di altri tempi e, come l'acciaio di Toledo, penetrano la corazza del politicamente corretto che possiede ogni lettore assuefatto alle tendenze dominanti (mainstream) del nostro tempo. Un romanzo che mi piace definire "reazionario", con personaggi caratterizzati sapientemente. Mi è piaciuto.
uno dei libri più noiosi dell'autore.
Recensioni
«Rimase seduto a guardare il denaro, poi richiuse la patta della cartella e abbassò la testa. Si vide passare davanti tutta la vita. Giorno dopo giorno dall’alba al tramonto fino alla morte. Tutta quanta, condensata in venti chili di carta dentro una borsa di cuoio.»
Da questo romanzo di Cormac McCarthy è stato tratto l’omonimo film dei fratelli Coen, che ha ottenuto ben quattro Oscar: come miglior film, per la regia, come sceneggiatura (sempre firmata dai fratelli Coen) non originale e infine l'Oscar a Javier Bardas come attore non protagonista.
Ma è del romanzo che ora ci occupiamo, sottolineando come alcune battute della sceneggiatura del film siano tratte letteralmente dal libro (“Sto per fare una cazzata grossa come una casa ma la voglio fare comunque. Se non torno di’ a mia madre che le voglio bene. – Llewelyn, tua madre è morta. – Allora glielo dico io...”).
La storia è piuttosto semplice. Un cacciatore di antilopi, Llewelyn Moss, un reduce dal Vietnam, trova una borsa piena di soldi in pieno deserto, siamo al confine tra Texas e Messico, accanto a una jeep intorno alla quale giacciono alcuni cadaveri di uomini crivellati da proiettili. Sono trafficanti di droga e vittime di un passaggio di consegne andato male.
Quella opportunità, tutto quel denaro sono un richiamo a cui Llewelyn non può resistere: prende quella borsa e inizia la sua avventura di uomo braccato. Sono in due a dargli la caccia, Anton Chigurh, un killer psicopatico, e lo sceriffo Bell.
Tutto il romanzo è percorso dalla fredda e spietata violenza omicida di Chigurh, dalle amare riflessioni dello sceriffo sulla sua vita e sull’oggi e sulla coscienza dell’insensatezza del suo gesto da parte di Moss.
Prendendo avvio da tanti miti americani, dalla figura del cowboy come è fissata nell’immaginario collettivo, trasmessa da tutta la tradizione dell’western e dai valori che lo sceriffo rivendica come fondanti ogni sua scelta durante la sua giovinezza McCarthy con la durezza dei dialoghi e un linguaggio scarno e implacabile, smonta tutto ciò e lo restituisce a brandelli al lettore.
Sono i fatti a mettere in luce la gratuità della violenza e sono i fatti a evidenziare che è impossibile sfuggire al proprio destino, e che non c’è nessun cowboy buono che alla fine ucciderà quello cattivo: la semplificazione morale del western è finita per sempre. Colpa della guerra? Di quel maledetto Vietnam che ha frantumato le certezze di tanta America? Non è così: “Tanti dei ragazzi che sono tornati hanno ancora problemi. Prima pensavo che era perché non avevano il sostegno di tutto il paese. Ma adesso penso che forse è ancora peggio. Il fatto è che il paese era a pezzi. E lo è ancora. Non era colpa degli hippy E non era neanche colpa di quei ragazzi che venivano mandati laggiù.”
Le pagine in corsivo che attraversano il libro, momento di riflessione interiore dello sceriffo Bell, rappresentante di una generazione disillusa e fuori tempo, sono quelle che, togliendo al personaggio l’ingenuità che lo contraddistingue, meglio descrivono il messaggio che il solitario Cormac McCarthy invia ai suoi lettori: “Forse sono arrivato a capire meglio il mondo, ma ho pagato un prezzo. Un prezzo piuttosto salato, oltretutto.”
Da quanto detto appare abbastanza chiaro il perché i fratelli Coen abbiano scelto questo libro per farne un film: quale miglior canovaccio di questo per reinterpretare, o stravolgere, un genere classico del cinema hollywoodiano?
A cura di WUZ.it
Un western contemporaneo nell’assolato Texas dei primi anni ’80.
Sarà il caso a portare Llewelyn Moss, reduce di guerra e operaio, impiegato in una battuta di caccia, sulla scena di un regolamento di conti tra trafficanti di droga. E quando Lleweyn troverà una valigetta contente due milioni di dollari, la sua vita cambierà per sempre. Perché sulle sue tracce c’è l’implacabile Anton Chigurh, uno sicario psicopatico e disponibile a tutto pur di recuperare quei soldi.
Inizia così un lungo e serrato inseguimento tra la vittima braccata e il predatore senza scrupoli. McCarthy costruisce una straordinaria parabola sulla violenza, riproponendo con un linguaggio secco e asciutto, quasi cinematografico, l’eterno conflitto tra le forze del bene, incarnate dal vecchio sceriffo Tom Bell, e del male, per cui parteggia Chigurh. Ed è proprio l’insensatezza di una violenza totalizzante e diffusa a costituire il filo rosso che percorre tutto il romanzo, facendo vacillare il buon senso dello sceriffo e diventando occasione per riflettere sul crollo dei valori morali nella modernità.
Recensione di Pietro Carini
A cura del Master Professioni e prodotti dell’editoria - Collegio Universitario "Santa Caterina da Siena” in collaborazione con l’Università di Pavia
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