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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Più che raccontare cosa succede nei paesi da dove arrivano i (non) rifugiati, racconta vite di persone, quindi a volte annoia e vorresti saperne di più della storia del paese più che di quelle specifiche persone che intervista. E poi.. mi dispiace ma la scrittura non è proprio accattivante, manca di personalità ed a tratti di fluidità.
Un libro stupendo. Bello il modo in cui è strutturato, e belle le foto inserite, è un'importante (e di questi tempi anche essenziale) riflessione sul concetto di rifugiato. Inoltre le testimonianze rendono il tutto molto più "concreto"
Libro sicuramente speciale. La mia sensibilità non mi ha permesso di proseguire nella lettura, e me ne dispiaccio. Ma il libro è decisamente ottimo. Forse a pezzettini riuscirò a finirlo.
Recensioni
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(...)Morales è testimone in prima persona di come negli ultimi decenni il fenomeno delle migrazioni si sia manifestato in forme nuove, che hanno determinato trasformazioni anche nel lessico che utilizziamo per descriverlo, per parlarne e per scrivere (...). Ma le parole sono importanti ed è per questo che Morales, che inizialmente voleva scrivere un libro sui rifugiati, decide di scrivere un libro sulle persone. Quelle persone che fuggono dalla violenza, dalla guerra e non hanno protezione, i (non) rifugiati (...).
La prima parte del libro è dedicata alle origini, alla fuga. L’autore cerca di capire quali sono le ragioni che spingono milioni di persone ad abbandonare le loro case. (...). In Siria racconta la guerra attraverso Nermin, che scrive il diario della sua fuga. In Congo incontra Julienne (...) violentata dagli uomini armati. Nermin e Julienne sono vittime di guerra, ma nessuna di loro è una rifugiata.
(...) Nella seconda tappa del suo percorso, lo scrittore s’interroga sui luoghi dove queste persone sono costrette a vivere in attesa di poter proseguire il viaggio (...). Si sposta in Centroamerica e in particolare negli albergues del Messico, i dormitori della fuga. Qui le persone fuggono dalla violenza, eppure, la violenza, le accompagnerà durante tutto il viaggio. (...) Furti, estorsioni, rapine, violenza sessuale, organizzazioni criminali che chiedono soldi per prendere un bus, per continuare il cammino (...).
Morales si sposta poi nel continente europeo e ripercorre la così detta rotta dei Balcani, “La rotta della vergogna”(...). Qui non ci sono campi, non ci sono tende, perché questi non sono luoghi in cui fermarsi; si aspetta sotto la pioggia, seduti per terra, ore, giorni in attesa di poter attraversare la frontiera. (...) L’ultimo viaggio di Morales è sul Mediterraneo, attraversato sulla Dignity I: lo scrittore racconta i suoi giorni sulla nave trascorsi, insieme all’equipaggio, a salvare la vita di persone che forse potranno un giorno dire di essere rifugiati. (...)
Non siamo rifugiati è un viaggio. Ma non è solo il viaggio di Morales e dei 65 milioni di esodati: è anche il viaggio del lettore. Attraverso i suoi racconti Morales riesce infatti a instaurare con lui un dialogo diretto, smentendo i luoghi comuni sui (non) rifugiati e costringendolo a porsi delle domande: “Hai mai pensato di scappare? Per quanto tempo resisteresti in una situazione di violenza estrema? (...) Lasceresti per strada i tuoi figli? Resteresti? (...). Sei un rifugiato? Sei certo che non lo sarai mai?”. Un libro intenso, il suo, la cui lettura apre le menti e i cuori.
Recensione di Carla Lucia Landri
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