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Non uscirò vivo da questo mondo non è un semplice romanzo, è poesia in prosa. Steve Earle racconta la storia di Doc Ebersole e del suo amico Hank con stile graffiante, umanamente scorretto e proprio per questo ricco d'una vitalità più unica che rara. Steve Earle racconta e lo fa con piglio unico e inimitabile ricco di vitalità, lo stesso che è concentrato nelle sue canzoni. Non uscirò vivo da questo mondo di Steve Earle è una storia sulla piccolezza, sulla grandezza dell'umanità, sul superamento del dolore e del rimorso, ma è soprattutto la storia d'una redenzione che ha del miracoloso, perché sì, i miracoli sono possibili e dipendono dall'uomo, dalle persone che frequentiamo e amiamo. Un Capolavoro, come sempre più di rado accade di leggere di questi tempi. Steve Earle è superbo narratore, che nulla ha da invidiare a John Steinbeck e William Faulkner, a William S. Burroughs e Allen Ginsberg. Una unica doverosa raccomandazione: il romanzo di Earle non è una puntigliosa biografia, non intende affatto svelare le circostanze della misteriosa morte di Hank Williams. Non è questo che si è proposto l'autore; e chi non l'ha capito, peccato per lui, perché forse manca di un po' tanta umanità prima che di spirito critico.
Dopo una serie di racconti, Earle, più famoso come cantautore, uno dei migliori al mondo, arriva al suo primo romanzo. Più che la storia, che a tratti s'incaglia e ristagna, sono i personaggi a rendere unico questo romanzo di vite perdute, di confini d'America o di Messico, di confini fra il morale e l'immorale. Il junkie Doc, l'angelo salvifico Graciela, il gigante Manny e, soprattutto, lo spettro magnifico di Hank Williams, che si allunga sulla spalla di Doc come fosse la sua "scimmia", restano a illuminare le strade perdute di San Antonio. Non è un capolavoro, è un libro da "sentire" e da saper ascoltare. Le ossa di Hank Williams tintinnano ancora su quelle maledette "lost highways" e Steve Earle lo sa e lo racconta.
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