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Invito quei quattro possibili scalcagnati a cui verrà nella zucca di procurarsi codesto libro col seguente stralcio di riflessione: "Scrutare il rovescio di una cartolina, riesaminarne il dritto evidentemente; il paesaggio qualsiasi del dritto e le parole qualsiasi del rovescio per lei non combinano". E qui potrebbe fermarsi ogni commento, quando già si intuisce il vano e lo sfuggente che adombra di continuo le azioni, il senso, la vita stessa. Siamo in una crisi individuale, un uomo smarrito fra famiglia e amante, morso da un tempo fisico forse stanco o ripetitivo o ai primi sentori di un'età giovane al tramonto. Ritorni e desideri, viltà non lievi da gestire e slanci senza controllo in cui perdersi, sensi di colpa che tornano e sfrenata volontà di fuga, un dettato interiore uguale a una cadenza ansiosa nel suo precario universo di equilibri, scontri fra il restare e lo svoltare, il terreno delle certezze che trema e chiama a una scelta nel fruscio delle novità che si affacciano. Scrive stupendamente l'autore ad asciugare questi periodi in commento: "Una vita spesa in continui cedimenti al desiderio della sincerità assillata". Niente e nessuno, o almeno pochissime cose a sostenerlo sull'oscillante trapezio del suo animo, corda sulla quale i paradossi si esercitano di continuo punzecchiando con solletici da diavolo quel tentare di tenersi in piedi: "Che pretesa, quando mai realtà e immaginazione coincidono?". Difficile sognare un fuori tranquillo che si adatti immediatamente ai conflitti di dentro, difficile sostenere sulle spalle, esili atlanti, le conseguenze sugli altri, perché "neppure ad essere villani ci si può liberare dagli altri". E poi ce ne dispiace. Almeno nei cuori ricettivi, sensibili è questa la piega che via via si forma, e cresce e morde col suo andare sempre più a fondo: "Ma sino a che punto il passato è sicuro?". Una risposta però s'insinua, meravigliosa, ed è quella della "malinconia dell'inevitabilità". Morale che vale da sola quest'esperienza.
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