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I martiri d’Algeria – le 19 vittime che non vengono raccontate per oscurare le altre vittime, per creare una classifica di valore dei morti, ma perché tutte vengano messe in luce: i “99 imam che hanno perduto la vita per aver rifiutato di giustificare la violenza”, gli intellettuali, gli scrittori, i giornalisti, gli uomini di scienza, gli artisti, i membri delle forze dell’ordine, le migliaia di padri e madri di famiglia, i bambini: il popolo algerino ucciso in Algeria. C’è un numero, a pagina 171: “Durante quegli anni neri sono morte più di centocinquantamila persone”. Io ancora non so leggere bene. Tante volte leggo in treno. Quando leggo che durante la guerra civile in Algeria sono morte centocinquantamila persone mi fermo, il libro sulle gambe, guardo fuori dal finestrino, rattristato dalla grande stupidità della guerra e della violenza, dalla insopportabilità del dolore impossibile da raccontare. Nessuno può raccontare la morte di centocinquantamila persone, è del tutto inutile. Il grande spreco, e nessun risarcimento possibile; nessun racconto sarà esauriente abbastanza.
Il primo dato è di contrasto: una guerra civile devasta l’Algeria e la luce del racconto si accende sui diciannove martiri cristiani. Questo però non significa gettere in ombra le centocinquantamila vittime della guerra ma scegliere un altro punto di vista per dirne lo scandalo, seppure ormai di scandaloso sembra ci resti soltanto di definire ‘scandalosa’ la guerra, siccome scandalosi sono gli uomini e le donne di pace che in nome della pace al fondo della loro religione hanno deciso di non allontanarsi dai loro amici, neppure quando tutto faceva presentire la tragedia. La vera tragedia sarebbe stato tradire l’amicizia di un popolo e, assieme a lei, la propria ragione di esistere.
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