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Un viaggio picaresco di tre ragazzi delle borgate negli straordinari paesaggi urbani delle notti romane, violente e viziose, fra feste e bravate, piccola criminalità e prostituzione. Nell'Italia del boom economico una mala gioventù di estrazione sottoproletaria, priva di riferimenti e totalmente amorale, viene rappresentata in maniera scarna e sincera, ma anche malinconica e larvatamente romantica dallo sceneggiatore Pasolini, che imprime al film la sua personale cifra poetica e narrativa dei "ragazzi di vita". I bad boys Terzieff, Brialy e Interlenghi, belli e dannati, hanno tutti il physique du rôle e prorompono forza giovanile ed ambigua sensualità come le loro controparti femminili, Schiaffino, Ferrero, Martinelli e Lualdi, anche loro "ragazze di vita", sempre pronte a tirare il bidone, ma anche a farsi bidonare per un momento di tenerezza rubata. Ma la forza del film non si circoscrive al piano estetico e alla splendida fotografia in bianco e nero di Nannini, estendendosi anche alla parte narrativa che ci offre uno spaccato umano - quasi antropologico - della Roma alla vigilia dei "favolosi Anni Sessanta", dove le tematiche pasoliniane (proletariato urbano e periferie, rifiuto del consumismo borghese, "oggettività marxista" della rappresentazione), risultano ammorbidite dal regista, qui alla sua prova migliore, che smorza gli accenti di maggior squallore e disperazione, risultando invece influenzato da autori come Visconti e Antonioni (ma la Roma nottambula, promiscua, errabonda e decadente rappresentata da Fellini ne "La dolce vita", ancorché con strumenti narrativi molto diversi, è poi così tanto differente?). Bolognini riprenderà le stesse tematiche, seppur in versione diurna, l'anno successivo (1960) in "La giornata balorda", su sceneggiatura di Pasolini e Moravia, ma con minor fortuna, nonostante una Massari bravissima e di una bellezza quasi irreale.
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