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Il ritrovamento di un bambino in una valigia e la sua sopravvivenza a Buchenwald nella primavera del 1945, tra l’avanzare degli americani da un lato e dei russi dall’altro, è solo la scusa per raccontare le esperienze di resistenza dei prigionieri politici del campo. In realtà nulla è detto del bambino, di come sia riuscito a sopravvivere fin lì, dei suoi genitori morti ad Auschwitz, del coraggioso polacco che nella fuga si è portato dietro il bambino all’interno di una valigia. Tutto è concentrato sulla vita dei vari capoblocchi, tutti o quasi comunisti ed oppositori del regime, internati per dieci e più anni, della loro volontà, prima, di disfarsi del bambino, ritenuto estremamente pericoloso per la loro attività; poi, motivo di speranza e di resistenza alla crudeltà nazista. Peccato, come ha osservato in una precedente recensione, Nikita, che i nomi dei protagonisti e i gradi delle SS si confondano e si accavallino rendendo faticosa la lettura. Comunque interessante
Pur amando molto questo genere, ho trovato la narrazione troppo prolissa. I personaggi sono caratterizzati male, non ci sono glossari che spieghino i vari gradi delle SS e degli internati, gradi che vengono usati spesso e trascritti in tedesco. I nomi dei personaggi non si imprimono nella memoria, e visto che sono caratterizzati piuttosto male, ci si perde subito. Peccato perchè l'idea della storia era bella.
Tra i deportati che arrivano a Buchenwald all'inizio del 1945 ce n'è uno che porta con se una valigia, il cui contenuto è preziosissimo e che sconvolgerà le giornate dei detenuti, dando però anche un senso nuovo ad una vita che senso non aveva più, ed infondendo la forza per resistere fino alla fine. Apitz parla di cose che ha visto e vissuto in prima persona, e lo fa in maniera straordinaria, coinvolgendomi e trascinandomi dentro alla quotidianità fatta di orrore del lager come poche altre volte mi era capitato. Un libro straziante e stupendo, che non fa dormire la notte ma che aiuta veramente a sentire cos'era sopravvivere in un non-luogo in cui la vita rimaneva fuori del cancello, uno spazio "impregnato di morte e decomposizione" in cui il calcio di un fucile alla nuca era il benvenuto ed una delle cose migliori che poteva capitarti in una giornata. Terribile, veramente terribile, ma anche una lettura che mi ha dato molto.
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