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Anno edizione: 2019
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La violenza degli anni Zero nel nuovo lancinante e imprescindibile libro di Nanni Balestrini. Frutto di un lavoro sismografico di anni, La nuova violenza illustrata va a congiungersi idealmente − ed editorialmente − con La violenza illustrata, che seppe raccontare come pochi altri l’Italia degli anni di piombo.
All’inizio degli anni Settanta Nanni Balestrini fu, tra tanti, il sismografo più sensibile di un’Italia spaventata. La violenza teneva in scacco la penisola, in tutto il mondo si guardava con apprensione a quello che stava succedendo. Gli anni di piombo erano solo la manifestazione di qualcosa di più sottile e più feroce che scorreva dentro le vene del nostro paese. La violenza illustrata, nel 1976, segnò l’evidenza – anche linguistica – di tutto questo. Il linguaggio, così rapido, disarticolato, dava conto di un sistema minato nelle fondamenta. Quell’edificio che sembrava solido, dopo la ricostruzione postbellica, in realtà aveva buchi che erano come fori di proiettile. I testi febbricitanti di Balestrini raccontavano quei fori. A distanza di oltre quarant’anni, e dopo l’ennesima sbornia di finto benessere, l’Italia e il mondo intero vivono il momento forse più violento dell’ultimo torno di secolo. È parso drammaticamente naturale, a Nanni Balestrini, tornare a osservare quel sismografo impazzito. È così che nasce, per puro istinto civile, questo nuovo progetto: gli attacchi alla Siria, il ghigno di Trump, la violenza sorridente delle foto di gruppo dei G20, la caccia all’uomo per il colore della pelle, fino agli sbarchi non autorizzati. Balestrini saccheggia i giornali, mette insieme pezzi di discorso dei cosiddetti media per far sentire quanta violenza c’è dentro la retorica ufficiale. La nuova violenza illustrata, che raccoglie in un unico volume quarant’anni di violenza, è il documento più lancinante su quella cosa così contraddittoria che chiamiamo pace. Sulle guerre sotterranee che ne increspano la superficie, e su quelle che le deturpano la faccia.
La nuova violenza illustrata è il tassello finale dell’attività poetica del compianto Nanni Balestrini, venuto a mancare lo scorso maggio. Questa estrema testimonianza costituisce, nella mente del poeta, il proseguimento ideale e definitivo del suo La violenza illustrata, risalente al 1976 (ritoccato da Balestrini in due successive edizioni, nel 2001 e nel 2011). Dieci componimenti, composti tra il 2012 e il 2018, pubblicati separatamente in varie sedi, ora raccolte in un progetto editoriale che vanta la curatela di Andrea Cortellessa.
La nuova violenza illustrata è “nuova” e “non nuova”: al cuore di ogni capitolo – nonché di tutta l’architettura complessiva dell’opera – la violenza umana vista nell’ambito del rapporto tra il suo valore simbolico (trascendente, universale) e la sua comunicazione e commistione ne e con le modalità socioculturali dell’umanità globalizzata. Un archetipo balestriniano, questo, un fil rouge che accomuna e avvinghia molte tappe del suo pluridecennale percorso poetico.
Una violenza “illustrata”, perché Balestrini è un poeta che non scrive parole, ma traduce immagini in sintagmi, addensandole in lingua scritta nel momento di maggiore fulgidità. Continue e impazzanti operazioni di montaggio, incastro, taglio e sovrapposizione, scatenando nella pagina un caleidoscopio forsennato e vertiginoso, che è quello del rigurgito autarchico dei media. Ogni episodio diventa così un documento-documentario ipertrofico, fatto di una tempesta di frammenti che appartengono a uno spettacolo di cui siamo già stati spettatori: il caso della nave Diciotti in Perché non ci fanno scendere?, l’assassinio del dittatore libico Mu’ammar Gheddafi avvenuto nel 2011 (Il ragazzo con la pistola d’oro) o un corteo di protesta a Roma (Una pacifica manifestazione rovinata da un pugno di teppisti), ma anche la violenza nella sua dimensione domestica, quella dei tanti casi di cronaca nera ribattuti fino al nonsenso dai telegiornali (Verso una nuova evasione e Odio i bianchi, quest’ultimo è la vicenda di Adam Kabobo).
Atti violenti, che siano pubblici o privati, che oggi non possono né consumarsi né esistere a sé stanti, senza venire riprodotti come rimbombi deformati dai media, dai quali è assuefatta la nostra percezione della realtà. Un ronzio gigantesco che sposta l’attenzione (e l’azione) su di sé, sovrastando l’evento primario, nascondendolo agli occhi e alla memoria del pubblico. I componimenti di Balestrini sono privi di punteggiatura, perché i codici, le possibilità di comunicazione e, soprattutto, la separazione tra la scelta della parola e quella del silenzio sono ormai privi di confini. Come se ormai l’uomo non fosse più in grado di riflettere senza parlare, i componimenti-dipinti di Balestrini non hanno segni d’interpunzione in quanto non possono dare punti di riferimento; questo perché la natura globalizzata della comunicazione mediatica umana non lascia spazio a punti di riflessione, di auto-interrogazione sul fatto di sangue, spingendo a una continua rincorsa ipertrofica alla sensazione soggettiva (direzione opposta all’acquisizione di un significato civile e collettivo che indaghi i rapporti causali tra la società e gli episodi di realizzazione violenta).
Ma in che accezione Balestrini si riferisce al concetto di violenza? La violenza è un elemento primario, se non addirittura primigenio, dell’essere umano, radicato, innato, spesso necessario per autodeterminarsi e agire nel mondo. Sangue, morte e violenza, per Balestrini, sono i concetti profondamente intimi e imprescindibili per l’uomo e per la sua radicale (e radicalizzata) attuazione nel mondo. Una violenza di cui il chiacchiericcio mediatico è futile eco che alimenta e sovraespone alla possibilità di una detonazione improvvisa, a cui Balestrini, nella lettera introduttiva, esorta il suo lettore: «Ma se ti capiterà per caso nella vita di sentire un improvviso irresistibile impulso a spaccare tutto, magari per una volta non trattenerti, lascia uscire le tonnellate di violenza inespressa che in tanti anni hai inghiottito e mandato al macero dentro di te. Lasciala esplodere in un gesto pazzesco».
La violenza umana è una violenza che richiede sangue, un elemento sempre più, da un lato, scontato, banalizzato, ordinario, noioso; dall’altro, spettacolarizzato, fatto strumento ideologico e politico, sacralizzato. In mezzo a questi due poli, l’elemento sanguigno e carnale non trova terreno fertile in cui innestare un suo significato assoluto: quello di manifesto della Vita Umana, di liquido che accomuna e sostiene e sostenta nello stesso identico modo ogni essere umano nel mondo. Questa, chiamiamola così, epifania viene strozzata nello stesso momento in cui l’azione di violenza esplode, perché acceca, in quanto l’uomo non è più in grado di coglierla, e i suoi strumenti che inflazionano la parola fanno tutto il contrario che avvicinarlo a essa.
Occorre fondare una nuova coscienza per poter cogliere in significato primo e al contempo ultimo del ruolo della violenza nella natura e società umane. Una coscienza che viene sempre più distratta, distolta, ingannata: per questo Balestrini si rivolge al suo lettore con gli aggettivi «pacifico e ignaro». Dal canto suo, il poeta, in quanto, nel caso di Balestrini, Vero Poeta, è ben conscio di questa situazione: ancora una volta, mette a disposizione la sua opera affinché l’humana societas possa trarne giovamento, e maturare per mezzo di essa: «Ma un’opera autentica serve a farti vedere altro, o meglio a cambiare il tuo modo di vedere, di percepire le cose e il mondo […]. A risvegliarti, anche se per pochi istanti, dandoti la vertigine di qualcosa di ignoto, che infrange le norme e le regole nelle quali vivi incastrato e anestetizzato». Questo è il vitale lascito de La nuova violenza illustrata e dello stesso Nanni Balestrini a noi: affinché rompiamo le catene che soffocano il nostro intelletto.
Michele Maestroni
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