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Il libro è nella collana "Per Passione", ideata e diretta da Sergio Reyes. Mimmo Cuticchio è oggi l'oprante massimo del teatro detto "Opera dei pupi" o Opra di disciplina palermitana (in parte diversa da quella catanese). Qui, dunque, la passione è teatrale e spinge Cuticchio a innovare. Perché passione non è uno stato, ma un moto dell'animo, e tanto meno è nostalgia. Al contrario: un non stare, un modo di spostarsi ed essere spostati. Oltre che nell'Opra, Cuticchio è maestro nell'arte del contastorie spada in mano, detta arte del Cunto, da non confondere con quella del cantastorie con chitarra. Più d'ogni altro, ha la maestria per innovare le sue specialità senza illanguidirle, ma progettando temi e ibridazioni impensate. Rispetto al cantastorie, il cuntista ha un che di più solenne e allarmato nella voce e nelle posture. Pratica un'arte del narrare tutta curve e dribbling, con squarci di apnea, dove il ritmo delle parole toglie il fiato. Può improvvisare qualsivoglia racconto, ma normalmente si muove come l'Opra fra le trame dei paladini di Francia e dei loro nemici: due o trecento figure ciascuna delle quali può comparire in diverse storie che oprante e cuntisti debbono conoscere a menadito. Servono soprattutto a questo i paladini: a circoscrivere un mondo finto e ben conoscibile di lotte amori e tradimenti, abbastanza inverosimile da divenire paradigmatico; abbastanza selezionato per dar luogo a una molteplicità praticamente infinita di combinazioni. Sarebbe ingenuo schiacciare Cunto e Opra sotto la vecchia etichetta della "vivente reliquia" di una dismessa "tradizione popolare". Vengono dall'Ottocento. Sono invenzioni ordite in nuclei familiari intraprendenti e capaci di maneggiare i materiali letterari (Valentina Venturini ricostruisce i percorsi nell'ultimo Annale di "Teatro e storia", 2010). Cuticchio dimostra che oggi sono, di nuovo, teatro vivo. Qualcosa di molto lontano da un vivente folclorico museo. Le convenzioni, insomma, non diversamente da quel che accade in ogni teatro vivo e formalizzato, permettono a Cunto e Opra di mordere direttamente l'attualità senza per questo sposarsela.
Quando Cuticchio camicia bianca e pantaloni neri, spada di legno in mano si fa avanti per uno dei suoi cunti, è gentile e sornione, fa quel che il pubblico si aspetta, parla di Sicilia e tradizioni, riassume la storia che si appresta a raccontare. Poi si inoltra, vi scende dentro. E lo spettatore in pochi minuti si trova coinvolto in un colossale racconto animato da una sola persona. Sperimenta quel che è oggi difficilissimo sperimentare: la potenzadell'attore che sa toreare il pubblico non per dominarlo o sedurlo, ma per poi lasciarlo libero di andarsene per la sua strada, con un incremento di vita nella testa (o nel cuore che dir si voglia).
Gentile e sornione si presenta anche questo libro. E ci mette in difficoltà perché sembra troppo semplice. In poche pagine formato album, Cuticchio racconta le tappe della propria vita professionale, presenta alcune foto di famiglia, foto non forbite, a volte belle, ma quasi per caso. Anche il resto lo racconta come se fosse per caso. È nato nel 1948. Non si stanca di ripetere d'esser cresciuto negli stanzoni dove si facevano gli spettacoli dei paladini, su per i paesi. Venuta la notte, il teatrino diveniva la casa della numerosa famiglia dei pupari. Fra i pupi appesi, si acconciavano i materassi per i bambini. I nuovi figli nascevano lì dove nascevano i nuovi pupi, lontani dalle città, nei freddi paesi su per i monti della provincia siciliana del dopoguerra. Sicché i pupi non erano sentiti come "cose", non erano neppure persone, eppure avevano ciascuno una propria tangibile personalità. Con certi pupi c'era quasi un rapporto fraterno, spiega l'autore, ché anch'essi erano figli di suo padre. Poi, ci saranno i pupi costruiti e ideati da Mimmo stesso, "partoriti" da lui, dice. Ma lo dice en passant. Troppo semplice?
Questo racconto Mimmo Cuticchio l'ha fatto molte volte, e per frammenti altre volte l'ha scritto. Si ripete? Oppure è anche questo un cunto che, ogni volta si raffina? Sbaglierò, ma mi son fatto l'idea che, invece di perdersi nei mille discorsi sulle cosiddette "tradizioni", Cuticchio batta e ribatta su uno degli apriori del teatro. Insistente, nelle parole e nelle immagini, compare la folla dei cento e cento pupi armati che stanno nel retropalco appesi immobili, muti e pronti. Materializzano l'apriori del teatro, non la sua idea, ma la sua fisica imminenza, come se dovesse segretamente star già tutto raccolto nei recessi non della fantasia, ma proprio della pratica e della scena, prima di sciogliersi in uno dei tanti possibili, effimeri intrecci di messinscena.
Impareremo, prima o poi, a valutarlo: l'autore, qui, è un grande artista, ma anche un vero intellettuale. Organico.
Ferdinando Taviani
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