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Anno edizione: 1999
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Per quanto Leibniz sia un autore immenso, che ha anticipato i tempi del pensiero filosofico proprio per la sua esigenza di non tagliare del tutto i ponti col pensiero platonico-aristotelico-tomista, devo dire, secondo il mio umile parere, che in quest'opera egli non dà il meglio di sé, essendo un'accurata critica rispettosa degli assunti di Locke ma molto spesso si sofferma su questioni minimali lasciando adito a divagazioni che lasciano un po' il tempo che trovano, e quando, invece, il discorso si fa più essenziale, il dotto Teofilo (Leibniz) rinvia Filolete (lettore del Locke) ai propri principi filosofici, che però a ben vedere si presumono già acquisiti dal lettore, il quale non può non avere l'impressione che aleggi su questi principi un certo dogmatismo. Viene allora spontaneo chiedersi: perché le monadi come centri di forza spirituale? perché nella mente umana tutto è innato? in che cosa consiste la corrispondenza prestabilita tra le monadi e tra l'anima e il corpo senza che vi siano influssi reciproci? queste sono alcune tra le domande a cui l'opera cerca di dare risposta. La grandezza dell'opera però sta nel circoscrivere l'empirismo di Locke, affinché l'empirismo possa trovare il suo fondamento in una metafisica che renda possibile una conoscenza che si basi certo sull'esperienza ma solo come spunto, affinché l'esperienza possa essere in qualche modo ristrutturata secondo le verità innante e il principio di ragione sufficiente, verità per le quali l'esperienza diventa il terreno attraverso il quale si rivela fenomeno delle essenze-monadi (entelechie, anime e spiriti) che fanno capo alla Monade-Dio, che nell'appercezione immediata di tutte le compossibilità dei mondi non può non scegliere che il migliore dei mondi. Locke è mantenuto e tolto, anzi se dobbiamo dirla tutta è proprio l'empirismo la via maestra per una metafisica che se da una parte lascia campo libero alla scienza moderna dall'altra ritaglia le proprie verità inderogabili sulla trascendenza.
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