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Anno edizione: 1988
Anno edizione: 2015
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Questo è un libro di viaggi, mobili e immobili, di osservazioni, divagazioni, ossessioni. Di impressioni immediate e rapide; o altrimenti a lungo macerate. Ci troveremo Grünewald, visitato a Colmar. E la cattedrale di Strasburgo, luogo cifrato e iniziatico. Ma anche varie immagini della Donna, da Rembrandt alla Morgue, al corpo nudo di una anonima fotografata, alla Maja di Goya, alle fanciulle dormienti di Kawabata. E poi Leopardi e Teresa di Gesù, Abelardo ed Eloisa, oltre che una lunga meditazione sui salmi e la preghiera. E infine il ricordo evocato dallo scoccare del tempo: i cinquant’anni passati dalla guerra civile di Spagna. Come sempre, non c’è angolo di mondo dove non si posi l’occhiale malinconico di Ceronetti. E non c’è angolo di mondo che rimanga uguale dopo che quello sguardo vi si è posato.
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Per definire Guido non posso che adoperare le sue stesse parole: "un fulmine crerubico nel petto". La miglior catarrosa sinfonia ad omaggiare un pensiero che non potrà smettere di attrarci dal palco e dal pozzo delle sue pagine: "Noi che guardiamo chi siamo? Nient'altro che obesi spettri, razza bianca omicida, umiliati dalla storia, avanzi di pattumiere, modernaglia saccente, tutta analisi, visione zero". Accanto a lui e dentro le sue righe ondeggiano come in un volo raro le più unte sfere di cristallo del veggente inascoltato e la poesia perfetta di un fermento che grida, di un animo come deposto e rassegnato ai miasmi del senso: "Come possiamo capire la speranza, i suoi crittogrammi sparsi nei corpi e nelle figure noi che possiamo elevarci soltanto all'intelligenza della media disperazione?". Questa la stupenda inguaribilità che questi saggi si portano nella carcassa, una raccolta che non smette di stregare e infettare le tempie col suo cesellare i periodi in uno sfinimento che si fa infine messale di luce. E che svela, dal "vomito dei propri fondali", quelli che Guido chiama "i dubbi semiafoni della coscienza". Quiete sbalordita, sangue che gronda commosso, oltre ogni inutile presa logica, davanti al Cristo di Colmar, o leggendo l'Assommoir, o sezionando con sovrana bravura quel 6 agosto del 1945 a Hiroshima ora per ora, istante per istante, "evento che è stato ben digerito dal nostro stomaco morale. Non c'è condanna peggiore che essere forzati a digerire tutto". Questa la malinconia nemica di un vero nitore sulla lente, torsoli decomposti e gettati via da una bocca ingiuriata, lo scorbuto speciale figlio di un inchiostro e di uno sguardo d'artista che seduce proprio perché arranca, e che compone un cielo con le bassezze del vivente. Lo dice in un rigo solo, come incidendolo con un chiodo: "I poeti, uomini quasi sempre giustissimi". Ancora qui Guido, per dirti in mezzo a "facce amabili quanto una colica" e al cretino "che è sempre ottimista", che mi manchi.
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