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Pagine che trasudano lo sforzo dell'originalità e delll'anticonformismo. L'indiscutibile impegno produce il suo risultato. In effetti la trama, il linguaggio e le atmosfere risultano originali e anticonformiste, ma lo sforzo finisce per caricarsi tutte sulle spalle del lettore. Davvero difficile rimanere coinvolti nella narrazione, davvero faticoso arrivare fino in fondo.
Un giornalista fantasma al servizio delle più importanti testate nazionali, uno squattrinato regista di cinema indipendente e un’affascinante studentessa universitaria macinano chilometri su e giù per l’Italia alla ricerca di quella che con ogni probabilità è stata la prima amante di Rodolfo Valentino. Apparentemente "Occidente per principianti" (Einaudi 2004, pp. 289) si presenta come il più classico esempio di letteratura di viaggio, una sorta di road movie letterario che prende forma lungo l’eterogeneo panorama italiano. Niente di più sbagliato. Perché per Nicola Lagioia, uno dei più interessanti autori italiani contemporanei, il viaggio non è altro che la scusa per fornire una tragicomica riflessione sul mondo dello spettacolo, sui mezzi d'informazione e soprattutto sull'industria culturale. Che cosa significa fare cultura oggi in Italia? E soprattutto, esiste ancora, nonostante tutto, una genuina attenzione e un vero interesse culturale? La risposta a queste domande fornisce uno spaccato terrificate di quella che è l’(ir)realtà italiana contemporanea, popolata da disillusi e malinconici trentenni eternamente destinati al precariato e da una generazione più anziana menefreghista e superficiale. Un paese dove, anche oggi, lo spettacolo fagocita la cultura, l’industria assimila l’arte. Attraverso pagine dense di citazioni cinematografiche e rimandi letterari, Lagioia si pone come testimone e, allo stesso tempo, giudice di un mondo che sta divenendo la brutta copia di sé stesso, e lo fa grazie ad una prosa innovativa, elaborata tramite la fusione di linguaggi differenti, come quello del cinema, delle canzoni, di internet e della televisione. Una forma letteraria che diviene essa stessa specchio della nostra (triste) realtà, che ci permette ancora e soprattutto oggi, dopo 13 anni, di comprendere il valore profetico della parole di Lagioia.
visto l´innegabile talento dell´autore, questo romanzo é un´occasione perduta, infrantasi su due dei problemi piú tipici della "giovane letteratura italiana" da una parte un eccesso di autoindulgenza, dall´altra una mancanza di controllo e di editing. il romanzo inizia bene, Lagioia ha un talento pop che puó richiamare il Pynchon di Vineland, ma poi ci si perde, lo scrittore sembra divertirsi molto, ma non altrettanto succede al lettore, qua e lá qualche sprazzo c´é, ma ormai la leggerezza e l´interesse sono persi. peccato.
Recensioni
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