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🛤️Questo libro non è solo una storia, è anche un viaggio: insieme al protagonista affrontiamo un viaggio improvvisato, le cui tappe sono decise in base all’ispirazione del momento e la destinazione finale è la meravigliosa Istanbul. 🛤️Forse mi aspettavo altro da questo testo, credevo fosse più concentrato sulla città di Istanbul. La trama diceva poco o nulla del contenuto del libro e mi ero fatta un’idea sbagliata, trovo il titolo e la copertina leggermente fuorvianti, nonostante siano molto belli. 🛤️È stata ugualmente una lettura piacevole e scorrevole, che mi ha tenuto compagnia. A tratti ho percepito le descrizioni un po’ fredde e distaccate, a volte invece ho avuto l’impressione che ci fossero dei particolari un po’ forzati ed enfatizzati. 🛤️Il protagonista del libro è un ragazzo che tiene un diario in cui appunta i pensieri e le esperienze che vive durante questo viaggio, le persone che conosce e quelle che ritrova, alla riscoperta di sé stesso e nella speranza di fare chiarezza su alcuni punti del suo vissuto.
Recensioni
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Il titolo dell’edizione originale di questo testo sospeso tra autobiografia e riflessione aiuta a coglierne immediatamente la tonalità dominante: El viaje de un nihilista. Ci troviamo di fronte a una narrazione di viaggio che nasce sotto il segno della negazione: immagini e ricordi svaniscono a ogni tappa e soprattutto quel che svanisce è l’illusione iniziale del viaggiatore di “diventare un altro” attraverso l’esperienza dello spostamento e del cambiamento. Con questo romanzo – che in Spagna è stato preceduto da altri quattro – Julio Baquero Cruz, nato nel 1972, rievoca un viaggio intrapreso all’alba degli anni 2000 verso Istanbul, con tappe intermedie a Vienna, Praga e Budapest. È un viaggio in cui cose percepite e cose immaginate interagiscono continuamente: dall’aneddoto (inventato) dello scultore di Praga che seppellisce la statua della moglie che lo ha abbandonato nel basamento di un monumento a Stalin alle figure femminili che condividono con il narratore un tratto del suo cammino, i fantasmi della mente del protagonista si sovrappongono capricciosamente a una realtà che – prevalentemente degradata e in via di rapida omologazione – sembra non meritare la sua attenzione. Quando questa realtà si impone, la nota che la caratterizza non è certo accattivante: “Alla vista dei primi edifici di Istanbul cominciò a entrare nella carrozza un odore familiare, simile all’odore che avevo sentito quella notte mentre camminavo per le strade di Praga. Era quell’odore di bruciato, di inquinamento, di carne arrostita, di carbone, di immondizia accumulata per le strade, odore di fumo, di fabbriche, di motori, di cani randagi”. Eppure, paradossalmente, per il nostro viaggiatore, questo odore, che non ha nulla di poetico e di esotico, è il primo incontro con “la vita vera che non è mai asettica e pura, che è sempre un po’ sporca”.
Recensione di Mariolina Bertini
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