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recensione di Terzi, L., L'Indice 1984, n. 1
Nei Meridiani Mondadori è uscita, alla fine dell'anno scorso, un'antologia delle opere di Jonathan Swift, la più varia, completa e rappresentativa che si potesse avere in italiano, a cura di Masolino d'Amico. Ci sono i "Viaggi di Gulliver" tradotti da Carlo Formichi, "Il racconto della botte" e "La battaglia dei libri" tradotti da Elsa Bulgarelli, scritti politici, un sermone e il testamento tradotti da Daniela Gentili, una scelta del "Giornale a Stella" tradotta da Marina Emo Capodilista, le "Lettere del Drappiere" tradotte da Carlo Bigazzi, una scelta di poesie tradotte da Attilio Brilli, una scelta di lettere tradotte da Miranda Melchiori, le "Istruzioni alla servitù" tradotte da me, le "Memorie di Martino Scriblero" tradotte da Mario Dornenichelli, una poesia e qualche prosa tradotte da Mario M. Rossi, e il poemetto "Versi sulla morte del dr. Swift tradotti dal curatore stesso sulla traccia di brani tradotti in precedenza da Mario M. Rossi. Il volume è di 1.635 pagine, di cui 130 di note. Le poesie sono date col testo originale a fronte. Bastano, credo, questi dati per dire quanto sia meritoria l'impresa del curatore e dell'editore.
Dispiace, allora, ed è peccato che, in questa impresa, un testo importante come i "Versi sulla morte del dr. Swift" abbia subito un trattamento infelice, e si sia perduta l'occasione di tradurlo al livello stilistico che meritava.
In una nota introduttiva, Masolino d'Amico dice di essersi "divertito" a completare la versione di Rossi (in decasillabi a rima baciata, con lo stesso numero di versi dell'originale) e che questi 'espedienti scherzosi' hanno avuto il merito di far conoscere Swift in Italia. Ma devo dire che a questo scherzo io non mi sono divertito, n‚ come traduttore n‚ come lettore, e vorrei spiegare perchè.
Tradurre poesie è difficile, ma si è creata una certa tradizione, che osserva alcune regole non scritte, stabilite dai poeti che traducono poeti. La prima di queste regole è che la traduzione di una poesia non può essere vincolata a uno schema metrico rigido, o comunque non prima di aver rispettato due vincoli molto più importanti, quello filologico e quello stilistico (che sono poi la stessa cosa, perché non si può dare un'interpretazione filologicamente esatta senza aver colto l'invenzione stilistica, n‚ si può cogliere appieno l'invenzione stilistica senza aver sciolto i dubbi interpretativi).
Ma, si potrebbe obiettare, la metrica non fa parte essa stessa dello stile? Direi proprio di no. La metrica è un vincolo astratto aritmetico. È un ostacolo frapposto artificialmente all'espressione, che costringe la fantasia a qualche volo supplementare per superarlo. È una causa irritativa che impedisce all'espressione di prendere vie consuete, di adagiarsi in soluzioni logiche, e la stimola a trovare enigmatiche circonlocuzioni o scorciatoie, allusive assonanze, pregnanti illogicità. Non è, insomma, una qualità stilistica per se stessa, ma piuttosto una sfida stilistica. Il traduttore di poesia si trova di fronte all'esito di questa sfida, cioè al testo scritto e ai suoi valori espressivi. Ma il testo trascende la metrica che in qualche misura lo aveva condizionato. Ciò che di fecondo aveva la metrica, ora è trasferito nelle qualità espressive e stilistiche del testo, ed è questo testo che bisogna tradurre, non la metrica.
Ora vediamo che cosa è successo al testo di cui stiamo parlando. Partiamo pure dall'inizio: "As Rochefocauld his Maxins drew/ From Nature I believe 'em true; They argue no corrupted Mind/ In him; the Fault is in Mankind".
C'è un tono pacato, riflessivo, in cui si coglie l'eco di una disputa illuministica: l'uomo è o non è naturalmente buono? Il pessimismo di La Rochefoucauld denota (argue) una mente corrotta che deforma la realtà (Nature) o è frutto di un'osservazione realistica (true) della natura umana? Swift prende fermamente partito: La Rochefoucauld dice la verità; il difetto non è nell'osservatore, ma nell'osservato. Ora vediamo la traduzione: "Le Maximes, si sa, furono estratte/ Da Natura e perciò sono esatte. /Rochefoucauld c'è chi trova profano/ Ma il difetto è nell Essere Umano".
In questi versi saltellanti l'eleganza della disputa è perduta. Il traduttore ci regala subito un infelicissimo "si sa" che banalizza tutto e dice il contrario dell'originale (I believe). Poi c'è la rima "estratte/esatteÈ che, essendo forgiata a spese dell'esattezza lessicale, dà un senso di grande sciatteria. Infine, il quesito se il difetto sia nell'osservato o nell'osservatore - il punto di maggior sottigliezza, che dà il tono e il livello a questo passo - si perde nel generico e stiracchiato "Rochefoucauld c'è chi trova profano". Meritava la pena di fare tanti danni per quattro rime non entusiasmanti?
È da notare, poi, che il testo inglese è scritto in ottonari a rima baciata, che portano quasi sempre quattro accenti in ogni verso (data la maggior densità della lingua inglese, che ha molte parole monosillabiche). Per avere in italiano un verso articolato in modo analogo occorreva scegliere l'endecasillabo (più duttile) o il dodecasillabo (più ritmato). La scelta del decasillabo, notoriamente il più brutto verso della metrica italiana, anelastico, monotono, con tre inesorabili accenti sulla terza, sesta e nona, non poteva essere più ingiustificata.
Il testo prosegue poi per 488 versi, tradotti tutti così, un po' meglio, un po' peggio. Quando ce n'é uno più felice-"Razza umana, fantastica e vana!" che ha un'elegante rima al mezzo e una bella aggettivazione- viene subito ammazzato dalla stiracchiatissima rima che chiude il distico: "Le tue varie follie, chi le stana?" C'è anche qualche distico carino, come questo: "Spento il fuoco l'arguzia freddata/ Morto l'estro, la Musa sfiatata..."
Però, com'è volgare l'aggettivo "sfiatata" in confronto al testo originale dove la Musa è definita "a Jade", una donnucola, una donnetta, con terminologia misogina tipicamente swiftiana che fa diretto contrasto con l'immagine aulica della Musa.
Vorrei fare solo un altro esempio, tratto dalla parte finale, cioè dai versi 447-459 che descrivono con straordinaria verve polemica i misfatti della piccola nobiltà campagnola irlandese: "On Rural Squires that Kingdom's Bane,/ He vented off his Wrath in vain:/ Biennal Squires to Market brought;/ Who sell their Souls and Votes for Naught;/ The Nation strips go joyful back,/ Torob the Church their Tenents rack,/ Go Snacks with Thieves and Rapparees,/ And keep the Peace to pick up Fees:/ In every Jobb to have a Share,/ A Jayl or Barrack to repair;/ And turn the Tax for publick Roads/ Commodious to their own Abodes."
Che significano all'incirca: "Sui signorotti rustici, di quel regno rovina, / egli sfogò sovente la sua collera invano: / in Parlamento biennale mercato,/ vendono l'anima e il voto per niente; / spogliata la Nazione, tornano allegramente a rapinare la Chiesa, a strozzare i fittavoli;/ spartiscono il bottino con ladri e disertori,/ e fanno i tutori della legge a pagamento;/ prendono una tangente su qualsiasi lavoro, / restauri di caserme, oppure di prigioni;/ e stornano le tasse per le pubbliche strade/ a miglior agio delle loro dimore".
Questa è la traduzione di Masolino d'Amico: "Il signor di campagna, sciagura Di quel regno, egli invano censura.
Al mercato in città, biennalmente Vendon l 'anima e i voti per niente; Pria il Paese, poi spoglian, quei diavoli, Con cinismo, la Chiesa e i fittavoli; Sottobraccio a ladroni e briganti Con la pace rimedian contanti, Con tangenti e con altre estorsioni Tengon vive caserme e prigioni, Dei lavori stradal coi balzelli Poi restaurano i loro castelli.
Ancora una volta, la satira scade a barzelletta. " Spartiscono il bottino" (go snacks, spartire, con espressione che ha forza gergale) diventa l'allegrotto "sottobraccio", e il verso successivo- "Con la pace rimedian contanti" - è incomprensibile, perché "peace" in questo contesto significa ordine pubblico, osservanza della legge, come nell'espressione giudice di pace. Dunque, si perde completamente il sarcasmo e il significato del distico-essere contemporaneamente guardie e ladri, e guadagnare da tutte due le parti- in cui sta tutta la sua forza. E così via.
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