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Irriverente, geniale, dissacrante, un Jolly dall'aria cupa e sonnacchiosa, mentre invece era un'aquila che vedeva tutto e sapeva beccarlo con acutezza e precisione imbattibili: "Vista a teatro una ragazza bellissima. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Per due ore non ho potuto dormire". Eccolo qua il divino Flaiano, l'uomo dei sogni e dei paradossi, dell'infimo elevato a sublime e delle stoccate più calde assestate nel cuore della vita civile e culturale italiana: "Vogliono la rivoluzione ma preferiscono fare le barricate con i mobili degli altri". Tuffarsi nelle sue acque non smette mai d'essere sostanza di privilegio, alito di distacco, luce e guida dentro un carattere sociale mai tanto scandagliato a fondo. Figura totalmente inclassificabile, una di quelle rarissime personalità sfuggenti e impossibili da inquadrare in un solo ruolo, perché troppi e tutti esatti egli sapeva vestirli, un catalogo di eclettismo incarnato, di vivacità e poesia insieme che rompono ogni schema fisso e bastano da sole a creare la più bella festa dell'intelligenza. In qualunque punto si aprano le sue pagine, sia che stia parlando di personaggi noti o di questioni le più irrilevanti (le due cose possono andare a braccetto e somigliarsi molto) la sua è la libertà a cui nessun lucchetto può impedire di sciogliersi, come non si azzittisce il mare o non si sorpassa il vento. Gli spunti possono arrivare da un viaggio, da un incontro, da una telefonata, da una serata mondana, da un premio, da un momento ozioso in un bar, e tutti, attivandosi, finiscono per somigliare a geniali solfeggi nel nulla della vita, nelle vane psicologie a spiegare chissà cosa, e nella certezza che tutto, sotto gli occhi, fosse già chiaro: "Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti e di cognati...". Libro indispensabile, un breviario di santissima follia, di folgori poetiche, di etica irrisa, frantumata, presa a calci, ma solo per dissolversi, per miracolo, in un'etica maggiore.
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