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Anno edizione: 2010
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I titoli maggiori della produzione teatrale di Mozart non sono oggi più mistero per alcuno: le opere su testo di Da Ponte hanno campeggiato in molte stagioni sui palcoscenici italiani, alla Zauberflöte, ovvero al Flauto magico, si portano i bambini (meno che in Germania, ma lì parlano tedesco) e anche capolavori estremi nel genere serio, come Idomeneo e La clemenza di Tito, sono stati offerti più volte agli spettatori italiani in tempi recenti. La conoscenza effettiva e filologicamente corretta di Mozart è dunque ampia. Eppure, se interrogassimo un appassionato sull'essenza del teatro di Mozart, sul perché le opere sue coinvolgono e incantano sulla scena, forse questi esiterebbe. La risposta gli giungerebbe allora dal mirabile volumetto di Manfred Hermann Schmid, il quale, profondo conoscitore di Mozart e indagatore acuto dei suoi meccanismi teatrali, offre con levità una chiave di lettura su cui ogni spettatore dall'orecchio avveduto non potrebbe aver dubbi. L'essenza del teatro di Mozart sta, unicamente e intimamente, nella musica, al di là della trama e delle parole, del genere o della destinazione. Parrebbe ovvio ma non lo è affatto, specie quando un intero filone di studi ha affrontato le opere sotto il profilo della drammaturgia, delle scelte formali, dei significati verbali, dello scavo psicologico: infatti, il sottotitolo originale, che l'editore italiano ha scelto di omettere, è "una guida musicale".
In essa Schimd, parlando delle Nozze di Figaro ma con riferimento a tutto il lascito mozartiano per il teatro, non esita a mettere in chiaro il punto nodale: "È la musica, con la sua natura stratiforme, a poter conciliare passato e attualità, tollerando per di più l'aggiunta di resoconti e commenti verbali. Perché una delle sue prerogative è quella di essere valida per se stessa. Alla logica della musica, al suo effettivo mistero, possono affidarsi anche tutti coloro che non capiscono una parola e non vedono la scena. (
) Nel dibattito estetico di parola e musica (
) Mozart non esitò un istante sulla posizione da assumere: 'prima la musica'. (
) Rispetto al linguaggio abituale della commedia, la musica può anche far percepire incomparabilmente meglio la verità interiore". Certo Schmid è abilissimo nel cogliere le sottigliezze metriche dei libretti in rapporto alle scelte musicali, l'articolazione delle scene nel testo da musicare e nella versione musicata, ma proprio per questo giunge a osservare quanto sopra, perché ciò da cui promana il senso ultimo di un passo o di un'opera è la musica, e segnatamente l'armonia.
Non ogni lavoro teatrale di Mozart riceve una sua scheda, e neppure ogni scheda offre l'analisi esaustiva di ogni aspetto. Infatti non a questo mira Schmid, bensì proprio all'essenza: muovendosi su un terreno conosciuto alla perfezione, egli punta dritto al ganglio vitale di una scena. Nella traduzione di Elisabetta Fava, amorevole quanto l'autore, si resta toccati in più punti dall'evidenza sottile delle osservazioni. Ad esempio, in Idomeneo l'ira porta a uscire Elettra fuor di senno in senso musicale, in quanto esce fuori dai binari il percorso tonale che ci si attenderebbe. Nella stessa opera, il rapporto instaurato con lo stile sacro di Mozart è addirittura triplice, non solo riferito all'uso dei tromboni per il numinoso, ma ricondotto all'invocazione "miserere" della Litania K 243 per l'espressione del terrore nei confronti della morte, addirittura alla maniera di tessere un rapporto stretto tra il Padre e il Figlio nel Gloria delle messe latine per la vitale relazione umana e drammaturgica tra Idomeneo e il figlio Idamante. Alla sfera del sacro Schmid collega anche un passo decisivo nella Zauberflöte, l'aria "Ach, ich fühl's", in cui Pamina crede di essere abbandonata da Tamino e invoca, nella solitudine dell'intimità, la "pace nella morte". Ebbene, la musica ricorre qui all'accordo di sesta napoletana, con il suo generare patetiche alterazioni discendenti, come nel coevo Requiem alle parole "gere curam mei finis", che alludono al trapasso. In questo momento della Zauberflöte, osserva Schmid, "i fiati sono messi a tacere in segno di devozione e di modestia", e la frase ha una valenza ancor più incisiva alla luce delle pagine che l'autore dedica all'importanza dei fiati nell'orchestra del teatro di Mozart, che spiccava così il volo sopra la prassi della sua epoca con il tratto nobile dei clarinetti insieme a oboi, fagotti e corni, la cosidetta "Harmoniemusik", che in tal caso diviene la sfera dell'elevatezza e il controcanto dell'anima. Pur suddividendo la trattazione fra opera buffa in italiano e opera tedesca, Schmid ricorda quanto Mozart guardasse, non solo a livello di fonti, al teatro musicale francese, tanto che la sua forza drammatica è uno degli elementi grazie a cui Mozart dà nuova vita alla Clemenza di Tito metastasiana. Le sue illuminazioni, poi, non mancano di evidenziare un punto a noi caro, quello della Finta giardiniera come luogo in cui Mozart anticipa soluzioni delle future sue opere buffe. Giangiorgio Satragni
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