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Se si dovesse indicare la forma letteraria più peculiare di Sergio Solmi, quella che corrisponde al nucleo più segreto della sua opera, dovremmo pensare al genere di prose che esemplarmente si mostrano nelle Meditazioni sullo Scorpione (non a caso libro particolarmente caro all’autore). A leggerle oggi, insieme alle molte altre qui per la prima volta raccolte, quelle prose sembrano separate, come da una barriera di cristallo, da ciò che di affine apparve in Italia a partire dagli Anni Venti, sotto l’insegna della prosa d’arte. Di fatto, cultore appassionato dei «mondi paralleli», Solmi sembra aver condotto sempre una vita parallela a quella della letteratura italiana dei suoi anni.
La parola «meditazione», usata da Solmi nel titolo di uno dei suoi testi più belli, si rivela quanto mai pertinente: essa designa una forma di solitaria elaborazione fantastica, dove la rêverie che discende dalla più pura tradizione romantica accetta di lasciarsi delicatamente circoscrivere da una cornice neoclassica, ma l’uno e l’altro elemento (fondo e cornice) sembrano accennare a un’ulteriore realtà, che non ha nome e sfugge alla letteratura, anche se la letteratura ormai, più di ogni altra forma, ha la capacità di avvicinarla. Lo «Scorpione», le «carte geografiche», gli «specchi», le «bisce acquaiole», la «Villa Angst a Bordighera» – temi di alcune delle più perfette prose di Solmi – sono altrettanti luoghi immaginali, che si disegnano in pochi tratti dinanzi ai nostri occhi interni e ogni volta indicano uno spartiacque psichico attraverso il quale lo scrittore può guidarci come un’accorta, discretissima guida. Dietro a questa efflorescenza di immagini, che erano poi per Solmi i primi punti di riferimento della sua geografia mentale, opera una continua riflessione letteraria, dove la lettura stessa diventa una sorta di elemento biologico onniavvolgente. E, insieme a essa, una riflessione ‘su qualsiasi cosa’, che ha la scioltezza di gesto di una mente educata su Valéry e su Nietzsche. Infine, troveremo qui i «frammenti di un’autobiografia», dove Solmi ha ricostruito alcuni segmenti del proprio percorso nel «Palazzo dei Destini». Dall’unione di questi elementi in un libro che per larga parte sarà nuovo per il lettore di oggi si compone così, con minuziosa fedeltà, la fisionomia di uno scrittore che appare negli anni sempre più singolare e prezioso fra gli autori del Novecento nei quali riconosciamo i nostri più vicini ‘classici’.
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