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Anno edizione: 2017
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Raymond Aron pubblicò questo saggio-pamphlet nel 1953, tre anni prima della destalinizzazione. L'obiettivo di Aron è l'intellettuale engagé, il "compagno di strada", piuttosto che il militante politico: "Les Temps Modernes", la rivista esistenzialista, simbolo dell'engagement di Sartre, Jeanson e Merleau-Ponty; "Esprits", rivista letteraria di orientamento personalista, meno nota della precedente, il cui esponente principale è probabilmente Mounier. La domanda di Aron si potrebbe sintetizzare così: com'è possibile che professionisti della cultura (alcuni intellettuali, appunto) sostengano una filosofia, quale quella marxista, un'ideale, come il comunismo, addirittura un Paese, l'Unione Sovietica, nonostante tutto il terrore, la violenza, gli abusi e le storture note in Occidente? Il libro è diviso in tre parti. Nella prima parte Aron analizza tre miti, la sinistra, la rivoluzione, il proletariato. La seconda parte è dedicata all'idolatria della storia. La terza parte si occupa degli intellettuali e della loro ideologia. Ovviamente, Aron si occupa soprattutto di Parigi. Spiccano, nella prima parte, il dibattito tra Camus da un lato e Sartre e Jeanson dall'altro, nella seconda l'analisi critica del pensiero di Merleau-Ponty, nella terza parte le riflessioni sugli intellettuali di Saint Germain de Près. "L'oppio degli intellettuali" ha nel secondo dopoguerra la forza e il coraggio che "Il tradimento dei chierici" di Benda ha avuto nel primo dopoguerra.
Eloquente lettura per anni praticamente introvabile e spesso citata dall’indimenticabile Montanelli. È, tuttora sorprendentemente attuale e capace di mettere in imbarazzo certe nostre élite “radical chic” al caviale&champagne. L’autore, una delle colonne del liberalismo della seconda metà del secolo scorso, così come Popper, dopo aver, pure lui, brevemente creduto al Marxismo, appena avuta l’occasione di visitare l’URSS e scoprendo i disastri prodotti da Stalin, ha presto abiurato, ed un po’ come George Orwell, non ha più risparmiato critiche al totalitarismo disumano che forse ha superato perfino il proprio Nazismo. Oggi, alla luce di ciò che si apprende, si rivelano chiaramente le ambigue tesi di Gramsci che, pur opponendosi allo stalinismo violento, al posto della rivoluzione e le barricate, raccomandava una rivoluzione del tutto nuova, discreta, lenta e silenziosa, ma efficace, alla conquista dell’egemonia culturale per imporsi a coloro che più di tutti influenzano i tessuti importanti del Paese e della società. Ecco che l’opera del prestigioso autore, parafrasando il famoso “Oppio dei Popoli” di Marx, denuncia quella droga che costituiva una vera cospirazione intellettuale, che va in detrimento delle libertà. Praticando ambiguamente l’ostracismo, pian piano guidano verso il collettivismo senza spargimento di sangue. Aron, già amico dello stesso Sartre, lo accusa di cinismo per tacere sui criminosi delitti messi in pratica nel cosiddetto Paradiso del Proletariato, perfino contro i propri seguaci. Così, denuncia la potente arma mortifera che costituisce un grave pericolo per i diritti individuali; veleno ipocritamente spacciato come se fosse rimedio, dalla stessa categoria che invece avrebbe dovuto mettere in guardia sui processi politici di cui il PCI di Togliatti era perfettamente consapevole. Allora, il saggio che accusava è fatto sparire dalle librerie; nuovamente disponibile: c’è da sperare che indottrinati artisti e dirigenti vi si possano riconoscere.
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