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Il libro racconta la storia di Mirta cittadina moldava che fa la badante a Roma. Ha lasciato il figlio di 12 anni Ilie dalla madre vedova ma un po’ svanita. Infatti fa bruciare la casa con la stufa e muore. Nel frattempo Mirta perde il lavoro perché Olivia, la persona a cui badava, viene messa in casa di riposo. Dapprima lavora per un’impresa di pulizie poi rientra in Moldavia e sistema il figlio in un orfanotrofio non avendo altra scelta. Non ha un marito perché il padre del bambino se n’è andato. Rientra a Roma e manda continui messaggi al figlio che però non risponde mai. Dall’ orfanotrofio le danno notizie rassicuranti sul bambino che si sta ambientando. Ma Pavel che porta pacchi e fa viaggi l’ha visto male ma non glielo dice. Le trova però un lavoro presso una famiglia facoltosa che paga molto bene ben 2100,00€ al mese! Viene assunta con l’inganno perché dá false referenze dicendo di essere infermiera in quanto ruba il cellulare ad una russa che teme le rubi il posto. Deve badare a Eleonora, un’anziana sulla sedia a rotelle, sola per una settimana. Nel frattempo Pavel le offre un lavoro come segretaria nella sua azienda e le propone di sposarlo. Eleonora è dispettosa e vuole morire e le chiede di aiutarla a morire in cambio di denaro. Perde il cellulare ai giardini e Carmen, una signora incontrata, lo trova e lo restituisce. Sul cell ci sono molti messaggi tra cui alcuni dell’orfanotrofio. Chiama e scopre che il figlio si è tolto la vita . Lei si dispera, soffre e si butta nel fiume. Spesso tra le righe emerge critica alle famiglie italiane che abbandonano gli anziani alle badanti! Storia tragica e straziante che prende anche se molte cose sono scontate! Certo è un libro totalmente diverso dal Manzini che siamo abituati a leggere!
Un libro davvero complicato: la trama è semplice, a tratti anche senza sfumature, quasi troppo netta. Ma, pur sapendo che la realtà non si può esaurire in categorie così distinte e separate, rimane un libro che fa male, perché magari eccede, ma comunque disegna in maniera impietoso un mondo che non è lontano dalla realtà. Un mondo che vediamo quotidianamente, in cui certe logiche (soprattutto di assistenza agli anziani) sono oramai la normalità e in cui i ruoli sono disegnati sulle persone solo per censo o nascita. Magari nei paesi si nota meno, ma in città - soprattutto nei quartieri veramente ricchi, come quelli descritti nel libro - si vedono in maniera evidente. Ciò detto, un libro bello, intenso e dolorosissimo. Manzini davvero in stato di grazia!
Io credo che sia giusto dare atto a Manzini di aver avuto il coraggio di uscire dal comodo guscio rappresentato dal mondo di Rocco Schiavone e di aver intrapreso un discorso letterario tutto nuovo rispetto al passato. Devo dire che il libro non mi ha convinto fino in fondo: un po’ lento all'inizio ha preso quota gradatamente fino al finale che ingenera più di una riflessione. L'esperimento comunque mi sembra, nel complesso, riuscito e promettente per il futuro. Ormai Manzini occupa un posto di assoluto rilievo nel nostro panorama letterario.
Recensioni
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“Volevo misurarmi con un personaggio femminile. Una donna unica con una vita difficile che, per trovare un angolo di serenità, è pronta a sacrifici immensi. Mia nonna stava morendo, io guardavo Maria che le faceva compagnia e veniva da un paesino della Romania e mi domandavo: quanto costa rinunciare alla propria famiglia per badare a quella degli altri?” – Antonio Manzini
Nei romanzi di Antonio Manzini, quelli della serie di Rocco Schiavone, l’assenza di una donna si sente e pesa come un vero e proprio personaggio. Sua moglie Marina manca nella sua vita e appare solo nei sogni. Ma mancano anche le altre donne che solitamente animano le stanze di certi uomini terribilmente soli: mamme, amanti, cameriere…
Per queste donne è evidente che Manzini abbia pensato a un ruolo diverso. O almeno così ci piace pensare. Mirta Mitea, la protagonista di questo romanzo, non è la cameriera di Rocco Schiavone, né la badante del suo vicino del piano di sotto. La sua vita non ruota intorno alle indagini del vicequestore di polizia. Lei è al centro della vicenda raccontata in Orfani bianchi.
E di nuovo, in questo modo, Antonio Manzini ci ricorda Andrea Camilleri, che è tra l’altro uno dei suoi maggiori estimatori, quando lascia le vicende di Montalbano per scrivere di altri personaggi.
Mirta Mitea è una badante moldava, in Italia da cinque anni. La sua vita è vissuta in simbiosi con gli anziani che deve accudire, vecchi di cui nessuno ha tempo o voglia di occuparsi, lasciati a un’estranea qualunque come gatti domestici. Quell’estranea che vediamo al parco trascinare le sedie a rotelle dei nostri nonni, quella donna inesistente che nessuno saluta al mercato, che intravediamo come un’ombra, all’alba, negli androni dei nostri palazzi, in queste pagine si prende la sua rivincita.
Perché scopriamo, leggendo, che Mirta ha una famiglia in Moldavia, una madre anziana che dovrebbe essere accudita anche lei, un figlio dodicenne con un sacco di problemi e amici, confidenti, ex compagni di scuola. Mirta ha un forte amor proprio e una passione per il pianoforte. Ha simpatie e antipatie, eccessi d’ira, momenti di estrema dolcezza, come tutti.
Antonio Manzini non cede alla tentazione di mostrarci lo stereotipo del reietto, dell’invisibile, che cerca il riscatto nella sofferenza, ma dipinge una figura a tutto tondo, capace di eroici slanci di altruismo ma anche di grandi errori di valutazione. È questa capacità di mostrare l’umanità, il tocco magico di Antonio Manzini, ciò che rende ogni suo personaggio credibile.
Grazie al punto di vista di questa donna, possiamo imparare molto su noi stessi, sul nostro rapporto con gli stranieri, con i malati e anche con la morte. Inevitabilmente, alla fine, la storia di Mirta diventa un’operazione di disvelamento dei limiti della società borghese occidentale. Inevitabilmente il cliché della straniera che porta via il lavoro agli italiani viene demolito senza appello.
Mirta Mitea, dicevamo, non è la cameriera di Rocco Schiavone, né la badante del suo vicino del piano di sotto. La sua vita non ruota intorno alle indagini del vicequestore di polizia. E Orfani bianchi non è il classico giallo procedurale di Sellerio. Possiamo anche supporre che i lettori di questi due generi siano diversi, e che magari alcune badanti vorranno cimentarsi con questa lettura. Ma l’autore è Manzini, non si smentisce. Come disse Antonio D’Orrico «Solo Manzini è davvero all’altezza» e oggi lo dimostra come mai prima, raccontando quello che tutti vedono e che nessuno dice. Facendo quello che si dovrebbe fare.
Recensione di Annalisa Veraldi
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