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L'autore compie un'opera meritoria, ricostruendo con competenza e accurata utilizzazione delle fonti un periodo storico visto da una certa angolazione, sul quale ancora mancava uno studio specifico. Le polemiche che hanno accompagnato la presentazione dell'opera dimostrano quanto ancora si debba lavorare sull'educazione civica nei confronti di coloro che, accecati dall'odio e schiavi di un'ideologia totalizzante, impediscono un tranquillo e pacato dibattito storico, dimostrando di aver in spregio la cultura e preferire, a essa, la propaganda.
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Che la via della modernità italiana sia stata contraddistinta nel corso del Novecento dalla persistente forza delle religioni politiche è confermato dallo studio di Antonio Carioti sui movimenti giovanili dell'estrema destra. È un dato storico che nell'Italia del XX secolo si realizza con una profondità non comparabile con gli altri paesi dell'Europa occidentale e che costituisce uno dei tratti specifici di maggiore durata.
Nonostante la dottrina della religione fascista ricevesse uno smacco definitivo nella sua realizzazione pratica, nonostante cioè il momento culminante della dittatura si risolvesse nella catastrofe della guerra, nella Shoah e nell'inevitabile epilogo di un conflitto civile apertosi nel 1921, i fedeli trovarono nel crollo ulteriori fondamenti per confermare la rivelazione. Nei movimenti giovanili del Msi, come Carioti documenta con ampiezza, confluirono i diversi rivoli nutritisi del fascismo e uniti nel contrastare l'esito della guerra in Occidente: l'affermarsi di sistemi pluralisti nei quali democrazia e socialismo in versioni secolarizzate diedero vita a una lunga "età dell'oro" che mutò radicalmente i caratteri fondanti delle società europee e i cui tratti fondamentali, così come i primi segni di crisi, vennero poi messi in evidenza da quell'evento globale che fu il Sessantotto.
Carioti sostiene l'esistenza di un Sessantotto nero, anticipatore di quella soluzione di continuità che un quindicennio dopo investì, in modi diversi, il Primo, il Secondo e le parti più dinamiche del Terzo mondo. Certo, i giovani che si riconoscevano nella religione politica fascista ebbero nell'immediato dopoguerra un radicamento assai significativo nelle università, ancora elitarie nella composizione sociale, e svolsero un ruolo di "sindacato" degli studenti, non disdegnando, alla bisogna, di stabilire convergenze con i giovani comunisti. Ma, appunto, il Sessantotto nero consistette nel dare voce alle domande corporative degli studenti, oltre che in un protagonismo dei giovani, sconosciuto agli altri partiti, nelle vicende del Msi. Una simile funzione è però strettamente connessa con la vicenda peculiare di quella religione politica in quella stagione, segnata dalla disfatta e dalla perdita del profeta, degli apostoli e del corpo sacerdotale. A vivificarla furono i giovani fedeli, i quali, rifiutato il dato di realtà di una sconfitta figlia del proprio operare e della propria teologia, poterono dare nuova credibilità alla sofferenza del fascismo sopravvissuto, tanto da potersi disinvoltamente mettere alla testa delle rivendicazioni per l'italianità di Trieste, nonostante fosse stato l'operare della loro religione a perdere quanto conquistato dalla vituperata Italia liberale.
Il radicamento dei giovani missini nell'immediato dopoguerra mostrava quanto il passato del fascismo non passasse: la giovane Italia aveva, in anticipo, stroncato un'evoluzione di compiuta democratizzazione pluralista, imbrigliandola nella dittatura di massa. Quei conti si sarebbero ripresentati a scadenze regolari in un paese che nella seconda metà del Novecento si autopercepì come l'avanguardia dell'Occidente, mentre ne era in realtà, come mostra questo libro, una delle retroguardie. Paolo Soddu
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