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La relazione tra passato e presente, ugualmente insoddisfacenti se non addirittura tormentati, anima ossessivamente la maggior parte delle poesie, in cui la consapevolezza dell’irrecuperabilità del tempo trascorso, avvertita nella sua feroce ingiustizia, rende impossibile vivere con serenità un presente mutilato delle sue radici. Ogni perdita è irreparabile, e la memoria non riesce ad addolcire o salvare il ricordo, se non falsandolo per renderlo ancora più amaro e affollato di rimorsi. In questa raccolta sono ricorrenti le rappresentazioni di funerali, tombe, spettri e reincarnazioni, e contesti in cui i protagonisti vengono ingannati, illusi, abbandonati o traditi nel loro fiducioso relazionarsi al prossimo e alle vicende della vita. Anche il rapporto con il destino individuale e storico è infatti problematico, poiché Hardy (agnostico, fatalista, darwinista), riteneva la realtà mossa da forze cieche e feroci, insensibili alle sofferenze di un’umanità innocente e incapace di difendersi. L’ingenua freschezza di queste poesie esercita anche oggi sul pubblico un fascino discreto, per l’attenzione sensibile agli eventi minimi di vissuto quotidiano, nel reiterarsi di pochi e fondamentali contenuti. Secondo Edoardo Zuccato, “Comico e tragico, elegia e satira, lirica e canzone, riflessione filosofica e ricordo si alternano senza un ordito definito, come avviene nella vita”. La chiarezza del dettato, lodata anche da Ezra Pound, la musicalità ottenuta con un sapiente impiego delle rime, l’utilizzo teatrale di dialoghi e monologhi, hanno reso l’opera poetica di Thomas Hardy facilmente memorizzabile. Formalmente, i versi si affidano a una metrica tradizionale, con grande varietà di forme strofiche, seguendo ritmi echeggianti la musica popolare e utilizzando frequenti dialettismi e arcaismi, volti a rendere i testi facilmente accessibili ai lettori coevi, sebbene letti con una certa condiscendenza dalla critica accademica.
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