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recensione di Bobbio, M., L'Indice 1992, n. 6
Fino al secolo scorso, gran parte della clinica era basata sull'esperienza personale, che consentiva ai "maestri" di ricondurre ogni caso a uno analogo trattato in precedenza. Già Claude Bernard a metà dell'Ottocento, nell'introduzione allo studio della medicina sperimentale (1865), ironizzava su coloro che anteponevano alla logica sperimentale l'intuito e l'occhio clinico, considerati come "negazioni della scienza". In seguito, con l'ampliamento delle conoscenze scientifiche, si è rafforzato il concetto che l'esperienza personale non fosse adeguata a fornire una risposta a tutti i quesiti clinici che si presentavano al medico; alcuni eventi avvengono cosi di rado da non poter essere apprezzati neanche dal più acuto e rigoroso osservatore.
Una recente ricerca, che ha fatto scalpore, aveva valutato l'efficacia di un farmaco già in commercio da alcuni anni. Era noto come quel farmaco riducesse la frequenza di alcuni disturbi del ritmo cardiaco che provocano la morte improvvisa e inattesa dei pazienti con infarto. Per cui i cardiologi ritenevano che il farmaco, rimuovendo la "causa ", riuscisse anche a ridurre la mortalità. Un campione di pazienti con infarto venne suddiviso in modo casuale in due gruppi: il primo trattato con il farmaco in questione e il secondo con un placebo. Dopo dieci mesi ci si rese conto che il numero di decessi era maggiore nel gruppo trattato rispetto a quello di controllo. Si decise di interrompere lo studio, in quanto non era etico continuare a sottoporre metà dei pazienti a un intervento "rischioso". Al momento della sospensione della ricerca erano stati registrati 19 decessi nel gruppo trattato e 7 nel gruppo di controllo, equivalente a una mortalità del 5, 9 e 2,2 per cento rispettivamente: ogni 100 pazienti trattati 3, 7 decessi erano attribuibili all'azione del farmaco.
Nonostante la mortalità fosse più di due volte e mezza maggiore nei trattati, questa differenza era cosi piccola che sarebbe stato impossibile per qualunque medico o singolo centro di ricerca raccogliere un numero di pazienti tali da "accorgersi" di quella differenza.
È noto che i medici tendono a valutare i risultati del loro lavoro in modo più favorevole di quanto avvenga in realtà. È stato chiesto a un gruppo di chirurghi quale fosse la mortalità dei pazienti da loro operati; dal confronto con i registri degli interventi, si è potuto dimostrare la sistematica sottostima degli eventi fatali. Ciò succede non per manifesta malafede, ma per una certa difficoltà a riconoscere i propri limiti, per una inadeguata preparazione a riflettere sui risultati del proprio lavoro e per il frapporsi di numerosi ostacoli tra la realtà e l'osservazione. Spesso manca ai medici il ritorno dell'informazione, perché possono ricontrollare solo coloro che stanno bene mentre dei morti si perde notizia. Se il paziente ritiene che la cura non abbia funzionato, si rivolge ad un altro medico, dando a quest'ultimo l'impressione di essere più bravo del primo, solo perché, aiutato dal "senno del poi", ha colto più rapidamente e con più precisione il problema. Talvolta i medici, nelle loro osservazioni, sono tratti in inganno dalla cosiddetta "fallacia del giocatore", secondo cui un numero del lotto che non esce per un certo numero di settimane ha più probabilità di essere estratto in quelle successive; come se, una volta che si rimescolano i bussolotti il numero "ritardatario" si senta in dovere di farsi estrarre essendo stato latitante per molto tempo. Può capitare che un medico, dopo aver visitato quattro pazienti con dolori addominali e aver formulato a ciascuno la diagnosi di colica epatica, sia indotto a giudicare come colica renale il successivo caso che si presenta con un analogo dolore; infatti quel medico non si ricorda che gli siano mai capitate più di due coliche epatiche consecutive.
La fallacia dell'osservazione medica è già stata oggetto di numerosi articoli e saggi, ma sempre rivolti a un ristretto gruppo di cultori della materia: epistemologi, psicologi cognitivi, epidemiologi. Il merito di Paolo Vineis è stato quello di riproporre questi stessi temi in modo molto semplice, affinché il messaggio dei possibili errori interpretativi arrivasse proprio a coloro che tutti i giorni devono fare i conti con informazioni viziate e ingannevoli; e affinché una materia di notevole interesse e sviluppo potesse raggiungere un più vasto pubblico. Si tratta di un testo che, partendo da numerosi spunti metodologici (i limiti dell'interpretazione degli esami strumentali, dell'efficacia delle terapie, dell'uso degli screening per l'individuazione di malattie in fase precoce, dell'interpretazione dei dati epidemiologici), si addentra nelle implicazioni che certi errori di valutazione comportano nella formulazione delle diagnosi e nella prescrizione della terapia. Un libro per comprendere i rischi di un'osservazione non controllata e non guidata da una metodologia rigorosa.
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