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Anno edizione: 2024
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Acclamato dalla critica come uno dei capolavori del premio Nobel spagnolo Camilo José Cela, questo breve romanzo ha per protagonista un gruppo di uomini e di donne che si ritrovano reclusi, distanti dal mondo, nel padiglione di un sanatorio per malati di tubercolosi.
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E’ da tempo che corteggiavo lo scrittore Camilo José Cela, scrittore spagnolo riportato in Italia grazie alla preziosa casa editrice Utopia. Camilo José Cela venne insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1989 con la seguente motivazione: «per una prosa ricca ed intensa, che con la pietà trattenuta forma una visione mutevole della vulnerabilità dell'uomo». Ma veniamo al libro: Padiglione di riposo (Utopia Editore, 2024) un libro di difficile categorizzazione, in cui il lettore ne esce straniato e confuso. «La signorina della 37 è un’entelechia, quella della 40 un vuoto, quella della 103 un’ombra che va sfumando. Il malato della 14 è una mera apparenza, quello della 52 un simulacro, quello dell’11 una finzione. Tutto è artificio, traccia – come diceva don Chisciotte – dei maligni fantasmi che mi perseguitano». Padiglione di riposo è un insieme di storie, di destini, di vite dannate e condannate, siamo in un sanatorio che ha la funzione di cura della tubercolosi, non sappiamo i nomi dei protagonisti né luogo e anni di svolgimento in cui si sviluppa la storia. Queste esistenze sono marchiate solo da un numero che ne segna il destino al contrario. Un inno alla vita forgiato da esistenze timide e dannate che ci ricordano che nel mare magnum dell’esistenza c’è un filo sottile e indissolubile che collega la vita alla morte, e niente può spezzare l’altrove che preso o tardi chiamerà tutti noi: «Per i vivi, chi muore, chi si perde implacabilmente alla vita, chi sfugge dal quotidiano dolore di conservarsi, istante dopo istante, in un’ininterrotta sequenza di gesti, non esiste. E per chi muore, chi vive e rimane è una dolorosa, offensiva e insopportabile presenza. Dio mio, come sento nelle mie carni – che presto ti regaleranno il loro dolore e calore – la tremenda e dolente verità di quel che sto dicendo!».
Il mondo per il malato di tubercolosi è ormai un'idea lontana, perché difficilmente ci si può tornare. Allora lo si idealizza, lo si immagina, lo si desidera e dunque diventa tutto. Più di tutti, il giovane poeta che esalta con malinconia la condizione di chi non sa ancora quanto dolorosa possa rivelarsi la vita.
Credo che si tratti di un romanzo innanzitutto d'amore, e sul rapporto tra eros e morte. Le cose che contano sono sempre quelle che abbiamo perso, non si può amare che in ritardo.
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