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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2020
Da un frammento, inverosimile e impossibile, ha origine la discesa di Régis Jauffret nell'abisso insondabile della vita di suo padre.
«Narrato con una scrittura scarna e ritmica, che sapientemente mescola realtà e immaginazione, reportage esistenziale e invenzione del vero, Jauffret in Papà scrive in bilico, su una sottile frontiera dove il verosimile, la ricostruzione dei ricordi, volutamente non diventa mai pura fiction ma si esprime nella sua complessa ibridazione» - Angelo Ferracuti, la Lettura
Uno sguardo distratto al televisore, casualmente sintonizzato su un documentario dedicato alla Francia di Vichy, ai collaborazionisti, ai rastrellamenti della Gestapo. Improvvisa, inattesa, inaudita, appare un'immagine di Marsiglia, del palazzo dove lo scrittore è nato e cresciuto, di suo padre ammanettato e portato via da due agenti nazisti. Sette brevi secondi che cambiano tutto quello che si era pensato fino a quel momento. Da questo frammento, inverosimile e impossibile, ha origine la discesa di Régis Jauffret nell'abisso insondabile della vita di suo padre. Chi era Alfred Jauffret? Perché gli è così sconosciuto? Perché di quell'uomo rinchiuso nella sua sordità e nella sua bipolarità non ha mai saputo niente? Da cosa nasce questa sua «sete di un padre»? E allora eccolo tessere, smontare, rappezzare i pochi elementi che ha per costruire il suo «papà», parola insieme tenera e spaventosa, facendoci sprofondare come in ogni suo scritto nei magnifici e terrificanti labirinti di ciò che si è veramente, di ciò che non si vuole dire, di ciò che si cerca di nascondere, anche a se stessi. Di ciò che significa scrivere, creare, rimodellare e inventare la realtà. Un inestricabile groviglio di ricordi e di fantasmi, di vero e di falso, di voluto e di negato, di indicibile e di inaccettabile, di sperato e di irrimediabile. Come il Philip Roth di "Operazione Shylock", come l'Heinrich Böll di "Foto di gruppo con signora", come il Jerome David Salinger di "Alzate l'architrave, carpentieri": uno scivolare cercando di aggrapparsi, violentemente attratti da quel buio nel quale si sa esserci forse una qualche verità che ci è inspiegabilmente eppure anche inevitabilmente necessaria.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Uno sguardo distratto al televisore, casualmente sintonizzato su un documentario dedicato alla Francia di Vichy, ai rastrellamenti della Gestapo. Improvvisa e inattesa, appare un'immagine di Marsiglia, del palazzo dove lo scrittore è nato e cresciuto, di suo padre ammanettato e portato via da due agenti nazisti. Queste le premesse che spingono Jauffret a scrivere un romanzo autobiografico e, in parte, di auto fiction. Nel corso delle 190 pagine, l'autore ripercorre il rapporto con il proprio padre a partire dall'infanzia fino alla scomparsa prematura del genitore, raccontando della sua sordità e del suo essere anaffettivo fino alla fine. Si tratta di un'operazione di indagine e auto indagine, di cui il percorso è forse più importante del punto d'arrivo.
Scrittura scorrevole e apprezzabile. Ma la narrazione si scosta molto, a mio avviso, dal focus iniziale, lasciando un po' disorientati.
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