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Com’è possibile che le varie strategie e tecnologie utilizzate nella cura del cancro abbiano ancora una percentuale di fallimento così elevata? Una delle possibili risposte, quella in cui credo di più, è che la biologia del cancro sia diversa da quella attualmente condivisa. Sino ad una decina d’anni fa sembrava certo che il ricambio cellulare in un essere umano fosse garantito dalle cellule differenziate attraverso la loro attività replicativa. Lo studio delle cellule staminali, grazie a tecnologie sempre più sofisticate, ha radicalmente cambiato questa convinzione. L’essere umano dopo la nascita è governato, sia nelle fasi di crescita che di mantenimento nell’età adulta, dall’attività delle cellule staminali. Mentre è conosciuta l’attività staminale dallo zigote alla nascita dell’essere umano, meno conosciuta è l’attività svolta dopo la nascita. Grazie all’identificazione delle staminali oggi sappiamo che i vari tessuti crescono e vengono rinnovati da queste cellule definite tessuto-organo specifiche. La staminale possiede una replicazione diversa dalla cellula differenziata. La replicazione staminale genera una cellula eguale a se stessa detta cellula madre (autorinnovamento) ed una cellula figlia, con diverse caratteristiche biologiche, da cui trae origine la cellula differenziata di un determinato tessuto. Per effetto di questa caratteristica biologica “la malattia” non può che derivare da una cellula staminale che subito un “danno” lo trasmette al tessuto. Questo nuovo modo di concepire la “malattia” provoca un profondo cambiamento eziologico obbligando ad intraprendere percorsi terapeutici assai differenti dagli attuali. La “malattia cancro” non può essere estranea a questo cambiamento eziologico. Su queste considerazioni si basa un nuovo paradigma nella cura del cancro illustrato nell’ultimo capitolo. Una strategia terapeutica che segue un preciso algoritmo e si modula secondo i comportamenti che il cancro esprime e la risposta clinica che ne consegue.
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