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E se l'Europa fosse devastata da guerre e carestie? E se la Terra promessa fosse l'Africa? Cosa faremmo noi europei? Attraverseranno l'Europa a piedi, ci imbarcheremmo su barconi fatiscenti pagando prezzi inumani e tenteremmo con tutte le nostre forze di conquistarci un pezzetto di futuro. Leggete Il paradiso alla fine del mondo e riflettete.
In letteratura è più importante la forma o il contenuto? Domanda difficile, dato che, in realtà, sono fondamentali entrambi. Dubbio amletico anche per chi, come me, abbia periodicamente la sventura di dover valutare dei temi scolastici con tanto di griglie, punteggi e affini: che fare di fronte a un tema ben svolto, ma pieno di errori formali, o di fronte a un tema mal svolto, ma formalmente impeccabile? Nel giudicare (bonariamente) "Il paradiso alla fine del mondo", letto per motivi di lavoro, avverto l'esigenza di tener separati i due aspetti formale e sostanziale. In merito al contenuto, data la tematica, il rischio era solo quello di cadere nel politicamente corretto: il romanzo, ambientato in un mondo capovolto, racconta la storia di una donna, Teresa, che, a distanza di anni, rievoca il viaggio della speranza da lei affrontato in gioventù per sfuggire da un'Europa povera e in balia di guerre civili, carestie ed epidemie e raggiungere l'eldorado di un'Africa ricca e pacifica, ma poco accogliente. Dunque una riflessione sull'attualità, sulle migrazioni, sul razzismo, tutta giocata sul filo dell'empatia con una protagonista con la quale diventa impossibile non immedesimarsi. In merito alla forma, ho qualche riserva in più. Il romanzo è leggibile e scorrevole, ma lo è forse sin troppo, in virtù di uno stile a tratti talmente lineare da esserlo alla lettera: una riga, una frase. Sarò un po' antiquato, ma sono ancora abbastanza affezionato all'idea che in letteratura e nelle arti in generale le rivoluzioni si facciano con la forma più che con il contenuto. L'autore, recita la copertina del libro, è "pronipote di Alessandro Manzoni": sarebbe stato bello ritrovare dell'illustre antenato oltre al contenuto edificante anche un pizzico della sua perenne insoddisfazione formale e stilistica e, già che ci siamo, della sua capacità di vedere in ogni essere umano un miscuglio non così facilmente districabile di bene e di male.
“Il paradiso alla fine del mondo” è stata una lettura davvero singolare e direi illuminante sotto certi aspetti. Il tema affrontato in questo romanzo è quello dei migranti, ma in maniera del tutto nuova. Nessuna storia vera riportata ma bensì un ribaltamento della situazione attuale. In questo ipotetico mondo i migranti sono europei che fanno di tutto per scappare da miseria e guerre civili in tutta l’Europa per arrivare, in qualche modo, in Africa, moderna e prosperosa. Questa visione inversa credo sia una chiave piuttosto efficace per vedere l’emergenza e la situazione migranti con un’ottica più consapevole. Cosa vorremmo se fossimo noi quelli a chiedere rifugio? Cosa succederebbe se fossimo noi quelli nati dalla parte “sbagliata” del mondo”? Credo che il viaggio disperato di Teresa possa darci diversi spunti di riflessione ed è anche per questo mi è piaciuto molto questo romanzo. “Il paradiso alla fine del mondo” è anche un romanzo di formazione perché vedremo Teresa crescere a ogni difficoltà incontrata e superata. Inizialmente non nego di non essere riuscita ad empatizzare molto con lei ma man mano che la storia evolveva, tra passaggi toccanti e altri molto duri da leggere, sono entrata maggiormente in sintonia con lei e con il racconto che nel finale ha saputo emozionarmi davvero tanto. Lo stile è semplice e diretto ma sempre scorrevole. Nella prima parte l’ho trovato forse un po’ poco coinvolgente ma passati i primi capitoli rimarrete incollati alle pagine. Quindi, come penso si sia capito, ovviamente lo consiglio
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