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Attraverso la descrizione, in successione cronologica, di alcuni famosi perversi (o, più vicini nel tempo, di alcune pratiche, ad esempio terapeutiche, perverse), Roudinesco illustra la trasformazione del concetto di perversione, e delle strutture sociali che ne hanno via via fatto da cornice. Se fino all'età moderna "la questione che si poneva era quella di sapere se l'esistenza del lato oscuro di noi stessi rimandasse a un ordine divino imposto all'uomo ... o se al contrario essa fosse il prodotto di una cultura o di un'educazione", arrivati all'età contemporanea l'a. è costretta a confrontarsi, dopo la perversione nazista, da un lato con il "processo di medicalizzazione delle grandi passioni umane", dall'altro con la abolizione dello stesso nome di perversione, sostituito ormai dal più neutro "parafilia” (terminologia "che ne elude la parte oscura”), e il trionfo di una "psichiatria della registrazione, della valutazione e del comportamento". Il quadro attuale, insomma, sembra lasciar evaporare nel non detto una inclinazione consustanziale alla natura umana, lasciando che essa si manifesti sotto altre vesti e in contingenze imprevedibili: "cancellare le frontiere e negare alla perversione la sua potenza trasgressiva nel dispositivo della sessualità umana al punto da censurarne il nome, significa tornare a fare della nozione di cancellazione la misura di ogni norma (...) se l'odierna società industriale e tecnologica tende a diventare perversa sia mediante la feticizzazione pornografica dei corpi sia attraverso un discorso medico puritano che abolisce la nozione di perversione, sia ancora mediante l'elaborazione di tesi insensate sulle relazioni fra l'uomo e l'animale, resta da identificare chi sono ormai i perversi, dove comincia la perversione e quale sono le grandi componenti del discorso perverso di oggi." Un compito che nonostante l’incessante prolificazione dei saperi scientifici sembra destinato a rimanere eluso. O sarebbe forse meglio dire rimosso?
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