Quali logiche regolano il sistema delle nomine pubbliche in Italia? Quanto incide il vecchio sistema partitocratico nella regolazione degli incarichi statali? La ricerca condotta da Fabrizio Di Mascio, dottore di ricerca all'Istituto di scienze umane di Firenze, guarda alle trasformazioni della democrazia italiana "attraverso il prisma del controllo partitico sullo Stato", nell'ambito di un programma internazionale che inquadra il livello di politicizzazione dello stato italiano in una prospettiva comparata. I risultati presentati in questo rigoroso volume mostrano come il potere di nomina dei partiti in Italia appaia ancora oggi pervasivo a tutti i livelli. Gli esponenti politici italiani continuano così a segnalare ai vertici delle imprese pubbliche aspiranti dirigenti o dipendenti, ma cresce il potere delle nuove figure manageriali di "respingere le richieste per salvaguardare l'efficienza di aziende che operano con risorse pubbliche sempre più scarse". Distinguendo il livello centrale da quello periferico, il libro descrive due diverse strategie possibili di controllo politico. Da un lato, a livello nazionale la densa rete di incarichi ministeriali si estende ai vertici delle amministrazioni articolate in modalità relativamente discrezionali allo scopo di preservare l'alta professionalizzazione necessaria al funzionamento di istituzioni complesse. Dall'altro, le amministrazioni subnazionali sono invece interessate da una più ampia offerta di opportunità di patronage: non dovendo gestire complessi livelli di funzionamento esse utilizzano la propria flessibilità organizzativa prevalentemente per l'estrazione di risorse pubbliche ‒ un meccanismo particolarmente radicato in alcune regioni del Sud. Patronage e clientelismo rappresentano dunque categorie ancora valide per l'analisi dei fenomeni politici in questione? L'eterogeneità degli approcci di studio a questi due fenomeni ha reso sempre più sfumati i confini tra i due concetti, fino a confonderli. Ci si è soffermati ora sul concetto di scambio, ora sulla distribuzione di risorse pubbliche fondata su principi non meritocratici, giungendo a una paradossale uniformità di visioni normative, d'accordo nel mettere in evidenza gli aspetti di distorsione di un sistema democratico. Di Mascio riesce nella duplice impresa di mettere ordine in questa eterogeneità di definizioni e contemporaneamente descrivere il patronage come pratica formalizzata tra le tante possibili nell'ambito dei rapporti umani: "Un esercizio motivato di discrezionalità da parte di attori politici", i quali distribuiscono incarichi amministrativi nel settore pubblico sulla base di criteri politici in luogo di quelli meritocratici. Il patronage può dunque rappresentare uno degli oggetti dello scambio clientelare, ma esso opera esclusivamente all'interno dello stato, mentre gli scambi clientelari mettono in connessione stato e società. Ben definiti e tra loro complementari, i due concetti divengono così strumenti in grado di coprire, insieme, l'aggrovigliata sfera semantica dello scambio politico e della nomina pubblica. Un tale approccio ci aiuta a superare l'handicap analitico rappresentato dall'uso generico dei due termini nel dibattito pubblico. Al tempo stesso, esso si espone però al rischio di rafforzare il carattere rigido e univoco di due categorie che hanno contribuito non poco a inquadrare in un'ottica economicista e funzionalista le pratiche e le relazioni politiche quotidiane. In questa prospettiva, le "motivazioni" del patronage sono attribuite a due principali fattori, che operano sia a livello centrale che a livello periferico: la ricompensa tramite l'assegnazione di incarichi e la tendenza al controllo dei settori colonizzati. In periferia, in particolare, il recente rafforzamento dei governi locali ha assegnato ai dirigenti un potere di nomina pressochè assoluto: la fitta rete di nomine controllate permette poi di mettere in collegamento "le diverse posizioni strategiche (
) della frammentata galassia amministrativa". Se ricompensa e controllo rappresentanto utili funzioni in grado di descrivere la riproduzione del fenomeno, un'argomentata riflessione sull'importanza della fiducia personale nel meccanismo delle nomine consente all'autore di illustrare gli aspetti regolativi di questa pratica. La nomina dipende infatti tanto dalle competenze professionali mostrate dai nominati, specie di fronte a ruoli di rilevanza strategica, quanto da logiche di appartenenza a una cerchia di politici di riferimento. Come afferma uno degli intervistati nel corso della ricerca, "se non godi della fiducia sei irrilevante". La preminenza delle relazioni personali rispetto alla competenza professionale è maggiore a livello locale, dove è inferiore la complessità di gestione delle amministrazioni. Negli ultimi due decenni, ci troveremmo dunque di fronte a rapporti di fiducia estremamente fluidi e personalizzati, se comparati alla logica organizzativa di pura appartenenza partitica ‒ che ha caratterizzato il sistema nel periodo della prima repubblica. La normale diffusione di una pratica consolidata appare eveidente in un'ottica comparata, ovvero quando l'autore presenta, attraverso i dati, il massiccio ricorso al patronage operato dalle più giovani democrazie europee. Antonio Vesco
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