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Anno edizione: 1998
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scheda di Cases, C., L'Indice 1995, n. 6
recensione pubblicata per l'edizione del 1995
È questo, avverte la fascetta, il secondo romanzo dell'autore di "Tutti giù per terra". Al secondo romanzo di un autore baciato dai premi letterari e dalle traduzioni in lingue straniere (già quattro, pare) tutti stanno li coi fucili puntati aspettando che tiri fuori la testa, lui o qualche suo sponsor (nel caso specifico, il sottoscritto, cfr. "L'Indice" del luglio scorso) che gli ha dato un credito che non si meritava. Una delle due: o si dà poco credito al mondo, come sembra inclinare a fare Culicchia, e allora è inutile perdersi in speculazioni, oppure, se si crede alla possibilità che il mondo e con lui gli scrittori abbiano vita lunga, bisogna aspettare almeno fino ai trentacinque anni, età in cui Antoine Prévost scrisse la storia di Manon Lescaut., un leggero libretto che fu l'unico destinato a sopravvivergli tra gli oltre cento volumi che portano il suo nome.
Spero che il pessimismo di Culicchia sia ingiustificato e che arrivi anche lui ai cento volumi. Per ora dobbiamo fare il confronto tra due volumetti così sottili che possono entrambi candidarsi al ruolo di Manon Lescano. Qual è il migliore? Beh, il primo naturalmente, i personaggi hanno nomi diversi, ma i tipi sono simili, compreso il protagonista Walter, che è appena invecchiato, non fa più il commesso libraio ma si è aggiornato gestendo un'edicola di giornali specializzata in videotape. Come ci si poteva aspettare, i clienti leggono meno e guardano di più e fanno per le videocassette ordinate e non arrivate le stesse scenate che prima facevano per i libri.
Non è questo l'unico indizio che i tempi sono cambiati (in peggio). Qui Walter ha bensì una compagna stabile, una tedesca impiegata all'Istituto Goethe, ma a parte un po' di lentiggini e un po' di vitalità teutonica essa non si distingue un granché dalle studentesse torinesi note al protagonista, tanto che quando costui la segue in Finlandia dopo un viaggio avventuroso, trovandola nuda in una sauna che non riesce nella sua insipienza italiana a distinguere da un bordello, e intenta a vedere il "Porfirio Topazio Show", la sua grande passione che non l'aveva abbandonata in Finlandia (nel primo libro c'era il padre fissato con "Telemike"), Walter se ne disgusta e torna in Italia, dove lo attende un'inaspettata promozione in seguito a un grave fallo del suo superiore immediato. Forse il Walter del primo libro non avrebbe accettato, ma questo accetta e rinnova il guardaroba e l'automobile. Cosa è successo? Si e forse integrato? Sembra quasi di sì, tant'è vero che alla fine lo vediamo recitare parola per parola di fronte a un novellino di nome Oscar le raccomandazioni ricevute a suo tempo da lui, Walter, per vendere meglio e di più.
Noi di Walter continuiamo a fidare poco. Resta il fatto che qui di prospettive ce n'è ancora meno che nel primo libro. È vero che è vano vedere prospettive che non ci sono, ma là c'erano almeno due prospettive utopiche, una nel passato (la zia e l'onesto mondo rurale da lei rappresentato) e una nel futuro (la Venere senza pecca che appariva e spariva alla fine senza che si avesse la certezza della sua esistenza).
La morale è che questo libro è ancora più sconsolato del precedente. Di chi è la colpa? Dell'autore o dei critici che gli hanno tenuto bordone anziché assicurarlo che si sbagliava e che noi viviamo nel migliore dei mondi berlusconiani possibili?
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